Da Netflix a DAZN, da Spotify a YouTube, da Disney+ ad Amazon, l’ultima azienda in ordine di tempo ad annunciare nuovi rincari. La situazione attuale dei servizi di streaming video e audio rispecchia quella di tanti altri beni di prima necessità e non, che di recente hanno subito un generale aumento dei prezzi motivato da diversi fattori.

I dati di AGCOM, rielaborati da DataMediaHub, ci forniscono uno spaccato piuttosto esaustivo di un momento difficile per noi utenti: a partire dal prossimo autunno ci ritroveremo a spendere il 33% in più al mese rispetto allo scorso anno per fruire dei contenuti disponibili sui servizi di streaming più noti. Ecco perché.

Perché i servizi di streaming costano sempre di più?

È stato un altro anno di rincari, che nelle prossime settimane proseguirà con altri aumenti anticipati da Amazon per il suo servizio di streaming musicale Music Unlimited e da Disney+ che, introducendo due piani disponibili in più da novembre, renderà più cara l’offerta disponibile ad oggi. Si tratta comunque di una situazione condivisa dalla maggior parte dei servizi di streaming audio e video che, in questi ultimi mesi, hanno introdotto rincari di varia entità normalizzando di conseguenza politiche simili.

Secondo i dati di AGCOM e condivisi da Repubblica, in Italia sono 15,3 milioni gli utenti unici (paganti) delle piattaforme di video in streaming, 16 milioni quelli abbonati a servizi di musica e podcast, la metà dei quali con più abbonamenti attivi.

Fra i servizi di streaming video sarebbe Netflix la più ricca di utenti italiani, con 8,9 milioni di persone abbonate secondo gli ultimi dati, seguita da Amazon Prime (Video), con 6,3 milioni di utenti, aziende entrambe che mesi fa hanno aumentato i prezzi dei propri abbonamenti: poco meno di un anno fa quest’ultima con 1 euro in più al mese, di 13,90 euro in più per l’abbonamento annuale; l’anno prima Netflix aumentando di 1 euro al mese il piano Standard e di 2 euro il Premium. Stesso discorso vale per DAZN, azienda che ha ufficializzato di recente i rincari più corposi: circa un mese fa ha aumentato i prezzi dell’abbonamento Standard (da 29,99 euro a 40,99) e del Premium (Plus), che è passato da 39,99 euro a 55,99.

Come anticipato, anche i servizi di streaming audio hanno introdotti degli aumenti: basti pensare a Spotify che ha alzato i prezzi di tutti e quattro i piani, e a YouTube Music, che per ora ha ufficializzato gli aumenti solo sul mercato statunitense.

La situazione è abbastanza chiara e simile anche in altri Paesi, giustificata almeno in parte dall’inflazione e, a giudicare da diversi analisti, anche da cambiamenti legati all’industria dei media, come riporta il Financial Times, secondo cui si starebbe chiudendo definitivamente l’era dei servizi a basso costo. Se per anni le aziende di streaming (e non solo) hanno cercato di attirare il maggior numero possibile di clienti con servizi disponibili a prezzi tutto sommato contenuti, l’attuale situazione azionaria in declino, gli utenti in diminuzione e altre questioni legate alle conseguenze della pandemia, avrebbe reso necessario attuare cambiamenti per monetizzare: bloccare la condivisione degli account come fatto da Netflix e promesso da Disney+ e, per l’appunto, alzare i prezzi degli abbonamenti, soprattutto.

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