Nelle scorse ore Amazon ha pubblicato un report ufficiale per fare piena luce sul blackout che il 20 ottobre scorso ha messo letteralmente in ginocchio una porzione consistente di internet, provocando malfunzionamenti diffusi su siti web, applicazioni, piattaforme streaming e persino dispositivi smart domestici. Come spiegato dall’azienda, l’origine del problema non è stata un guasto classico legato all’infrastruttura fisica, bensì un bug interno al sistema di automazione di DynamoDB, il popolare servizio di database NoSQL utilizzato in modo capillare da moltissimi clienti AWS.
Cosa ha causato il blocco di Amazon Web Services il 20 ottobre
Secondo Amazon, DynamoDB è progettato per gestire centinaia di migliaia di record DNS in modo autonomo e trasparente, correggendo eventuali anomalie senza intervento umano; tuttavia, proprio questa automazione ha avuto un malfunzionamento particolarmente grave: il sistema di gestione DNS ha generato un record DNS vuoto per i data center situati in Virginia del Nord, una delle regioni più importanti dell’infrastruttura AWS a livello globale.
Da qui è iniziato l’effetto domino, DynamoDB avrebbe dovuto risolvere da solo l’anomalia come avviene normalmente in questi casi, ma non è riuscito a farlo, costringendo i tecnici Amazon a un intervento manuale. Nel frattempo, qualsiasi altro sistema o servizio che necessitasse di connettersi a DynamoDB si è trovato senza un riferimento DNS valido, generando errori a catena.
Durante la finestra di disservizio, che ha avuto una durata limitata ma sufficiente a interrompere la normale operatività di numerose piattaforme, gli utenti hanno iniziato a sperimentare problemi molto diversi tra loro, da semplici rallentamenti nella risposta dei server fino all’impossibilità totale di accedere al servizio.
A essere coinvolti non sono stati soltanto siti terzi che si appoggiavano ad AWS, ma anche servizi di casa Amazon come Alexa o l’infrastruttura e-commerce stessa; a titolo di esempio, tra le realtà interessate figurano Bank of America, Snapchat, Canva, Reddit, Apple Music, Apple TV, Lyft, Duolingo, Fortnite, Disney+, Venmo, Doordash, Hulu, PlayStation e persino Eight Sleep, i cui letti smart si connettono alla rete per regolare automaticamente temperatura e inclinazione, un elenco talmente ampio che lascia intuire quanto DynamoDB sia centrale nell’ecosistema cloud moderno.
Nel report Amazon ha inoltre voluto rivolgere un messaggio diretto agli utenti e ai partner colpiti dal disservizio, ribadendo come la società sia consapevole dell’importanza critica dei suoi servizi, spesso alla base di intere filiere di applicazioni e attività aziendali; la società ha dichiarato che utilizzerà questo episodio per migliorare ulteriormente la resilienza della piattaforma e prevenire incidenti simili in futuro, rafforzando in particolare i meccanismi di controllo automatico sui record DNS.
Non si tratta del primo episodio che dimostra quanto i grandi cloud provider siano ormai un’infrastruttura invisibile ma fondamentale per il funzionamento quotidiano di internet, basti pensare che un singolo bug (in questo caso un record DNS vuoto) è riuscito a propagarsi a cascata su scala globale. Amazon non ha fornito tempistiche precise sulle correzioni strutturali che verranno introdotte, ma è ragionevole attendersi una revisione dei processi di automazione proprio per evitare che anomalie interne possano aggirare i sistemi di autodifesa.
Ad ogni modo, il disservizio è stato completamente risolto, ma il caso resta emblematico del grado di interdipendenza tecnologica raggiunto oggi dai servizi online, e come spesso accade in questi scenari, sarà proprio l’esperienza maturata da Amazon durante questo blackout a determinare i miglioramenti infrastrutturali che vedremo nei prossimi mesi.
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