Gli assistenti virtuali così come li conosciamo adesso avranno vita breve. Il “problema” è ChatGPT e le intelligenze artificiali simili, che possono (o meglio potranno) sopperire alle mancanze di questi ultimi e quindi prendere il loro posto.

Sarebbe uno scenario funesto per Amazon Alexa, Google Assistant o Siri di Apple, ma che difficilmente vedremo avverarsi considerando che le aziende proprietarie probabilmente stanno già correndo ai ripari. Come? Integrando le IA e modificando di conseguenza il modo in cui funzionano gli assistenti virtuali stessi.

Assistenti virtuali contro intelligenze artificiali: una sfida persa in partenza

Ieri OpenAi ha presentato GPT-4, la versione perfezionata del modello di linguaggio di intelligenza artificiale che anima ChatGPT e il nuovo Bing AI di Microsoft, fra tutti. Si tratta di un passo in avanti importante, soprattutto perché permette di elaborare le immagini e testi più lunghi, oltre a promettere livelli di affidabilità superiori rispetto alle precedenti generazioni. Resta però come limite la sola resa in forma testuale, che ad oggi lascia quindi del margine agli assistenti virtuali come Amazon Alexa, Google Assistant e Siri di Apple. Ad oggi, però.

Uno dei prossimi passi previsti dagli esperti di intelligenza artificiale è rendere le IA in grado di controllare i chatbot con la voce, una funzione che non appena sarà utilizzabile dalle persone comuni renderebbe presto quegli assistenti digitali/vocali obsoleti così come sono adesso. Il perché sta nelle differenze di funzionamento delle due tecnologie.

Perché Siri, Alexa e Google Assistant dovranno cambiare?

C’è voluto circa un decennio per rendere gli assistenti virtuali popolari. La prima versione di Siri risale al 12 ottobre 2012, l’annuncio di Google Assistant è datato maggio 2016 e fra i due c’è Amazon che presentò Alexa circa due anni dopo Apple.

Ci sono volute tante risorse da parte delle aziende per rendere questi assistenti digitali utili e funzionali. Ma da allora i progressi sono stati pochi e limitati ad aggiunte, ritocchi e perfezionamenti; nemmeno l’ombra di rivoluzioni e quindi di nuovi entusiasmi, ora tutti rubati dalle intelligenze artificiali come ChatGPT e dalle prime timide reiterazioni come Google Bard.

Ci vorrà del tempo prima che queste ultime diventino effettivamente utili e utilizzabili dalle persone come Alexa, Siri o Google Assistant, ma per loro si fanno più urgenti dei rinnovamenti profondi, proprio per adeguarsi a un futuro in cui le intelligenze artificiali saranno sempre più diffuse.

“Sono stupidi come sassi” diceva un mese fa l’amministratore delegato di Microsoft Satya Nadella in un’intervista al Financial Times riferendosi agli assistenti vocali, in contrapposizione alla nuova era delle IA, ambito su cui l’azienda di Redmond sta investendo pesantemente da anni.

Il principale problema degli assistenti virtuali è che sono basati su sistemi di comando e controllo, possono cioè comprendere un elenco finito di domande e richieste come “Spegni le luci del salone” o “C’è traffico per andare al lavoro?”. E chiedendo loro di fare qualcosa che non è presente nel database, il sistema risponderà semplicemente che non può essere d’aiuto.

Si tratta di un limite importante, che non è nemmeno semplice aggirare con l’aggiunta di nuovi contenuti. Un ex ingegnere di Apple che ha lavorato su Siri ha detto che per inserire nuove frasi nel set di dati dell’assistente sarebbe necessario ricostruire l’intero database, un’operazione che richiederebbe fino a sei settimane; per non parlare di funzionalità più complesse come l’integrazione di nuovi strumenti di ricerca.

Dovrebbe essere a questo punto chiaro l’abisso che c’è fra le tecnologie come Siri e i modelli di linguaggio di grandi dimensioni di OpenAI e simili, addestrati a riconoscere e a generare del testo sulla base di enormi insiemi di dati provenienti dal web.

Parola d’ordine: integrare i modelli di linguaggio IA

Secondo quanto riportato dal New York Times le grandi aziende tecnologiche stanno correndo ai ripari per trovare delle risposte a ChatGPT. Quasi un mese fa Apple ha organizzato AI Summit, un evento interno in cui l’azienda avrebbe presentato il suo modello di linguaggio e altri strumenti di intelligenza artificiale capaci di generare linguaggio. Ieri Google ha annunciato alcuni strumenti e funzionalità basate sull’IA generativa che aiutano le aziende a scrivere e ad automatizzare alcune operazioni con Documenti, Gmail, Meet e con altre soluzioni. Amazon alcuni giorni fa ha dichiarato di essere al lavoro su un chatbot dedicato alle aziende.

Difficilmente Alexa, Siri, Google Assistant e simili saranno immuni da tutto questo, anzi. In futuro le tecnologie che animano i chatbot saranno probabilmente integrate negli assistenti virtuali, come anticipato. Non lo diciamo noi, ma gli esperti di intelligenza artificiale e la stessa situazione che si sta creando, che richiede loro un cambiamento radicale per far sì che diventino capaci di instaurare un dialogo con gli utenti e per farsi utili per davvero, quasi indispensabili.

Manca ancora un pezzo importante per completare il puzzle: l’oralità sia per comprendere che per generare. Ma sappiamo che la stessa Microsoft ci sta già lavorando con OpenAI.

In copertina il nuovo Amazon Echo Dot con orologio

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