Con l’arrivo di ottobre, lo spauracchio che si profila ormai da settimane, quello del caro bollette è destinato a tramutarsi in realtà. Le famiglie e le imprese di ogni parte del vecchio continente guardano con timore ad una situazione il quale sembra al momento senza controllo e che rischia di mettere in crisi bilanci familiari e aziendali già sottoposti a forti tensioni nel corso degli ultimi anni.

Tra coloro che dovranno fare i conti con aumenti dei costi energetici che si prospettano da record, ci sono anche le aziende impegnate nel mining di criptovalute. Come è ormai noto, infatti, per condurre in porto l’attività di estrazione dei blocchi sulla blockchain, in particolare su quelle che si fondano sull’algoritmo di consenso Proof-of-Work (PoW), è necessaria una quantità di energia di grande rilievo. Basta in effetti vedere le polemiche che caratterizzano il mining di Bitcoin per capire come si tratti di una questione di grande rilievo, soprattutto a livello ambientale.

Proprio alla luce dei costi che si vanno profilando, c’è grande curiosità per quanto riguarda la situazione dei miners. Una categoria che è già stata messa in notevole difficoltà nel corso degli ultimi mesi dal crollo delle quotazioni della stragrande maggioranza dei token, a partire proprio da BTC, sul quale in molti hanno puntato negli ultimi anni acquistando macchinari estremamente costosi i quali rischiano ora di essere spenti, per non dare vita ad operazioni che rischiano di rivelarsi controproducenti sul piano economico. Andiamo quindi a vedere come i miners potrebbero cercare di risparmiare sulle bollette.

Tempi duri per il mining di criptovalute in Italia

Le previsioni per le prossime bollette energetiche prospettano una situazione praticamente fuori controllo, in Italia. Il rincaro dovrebbe attestarsi nell’ordine del 59%, ma solo grazie all’intervento dell’ARERA ( Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), che ha scongiurato un raddoppio secco delle tariffe. Secondo uno studio condotto dall’Unione Nazionale Consumatori, per effetto di questa dinamica dei prezzi una famiglia tipo, nel periodo che va dal primo giorno di ottobre al 30 settembre del prossimo anno, dovrebbe spendere per la propria bolletta della luce 1782 euro, ovvero 662 in più rispetto alle tariffe vigenti in precedenza.

Il calcolo tiene conto di prezzi costanti e naturalmente la speranza è che nel frattempo possano calare, ma ove non fosse così per un gran numero di famiglie italiane, in particolare quelle monoreddito o comunque facenti parte degli strati popolari, l’inverno potrebbe rivelarsi un vero e proprio incubo. Il primo test in tal senso sarà quello relativo al trimestre tra ottobre e dicembre, in cui la bolletta dovrebbe passare, sempre per la famiglia tipo, da una media di 200 a 445 euro.

Una realtà la quale rischia di farsi addirittura drammatica per le aziende che fanno mining nel nostro Paese, dovendo quindi utilizzare quantità molto rilevanti di energia per poter portare a termine le operazioni sulla blockchain, soprattutto nel caso l’attività di estrazione riguardi i BTC, notoriamente energivori (ma non secondo il Bitcoin Mining Council), tanto da essere ormai da tempo sotto il mirino di associazioni ambientaliste e governi, in particolare quelli del Nord Europa.

Secondo un’analisi condotta dal portale tedesco CryptoMonday, infatti, la spesa per l’elettricità che deve essere sostenuta dai miners di BTC è destinata a impattare sui guadagni generati sino al 75% degli incassi. Resta da capire se con il surriscaldarsi delle bollette tale percentuale non sia destinata a calare ulteriormente o meno.

In particolare, il consumo di energia degli elementi hardware cui spetta il compito di eseguire il mining di criptovaluta, va a dipendere proprio dalle componenti utilizzate. Le GPU, a seconda dell’algoritmo, vanno a consumare tra i 360 ed i 1.500 watt per un impianto da 6 a 7 schede, mentre la scheda madre, l’unità di alimentazione, l’hard disk e la Ram arrivano a consumarne sino a 100 watt.  Il sistema di raffreddamento, infine,  attesta il suo consumo in una forbice la quale può andare da 20 watt a diversi kilowatt a seconda del livello e del tipo di condizionamento dell’aria.

I trucchi dei minatori per il mining di criptovalute

Non appena è iniziato a diffondersi l’allarme per la crescita abnorme delle bollette in molti hanno iniziato a guardarsi intorno per cercare di capire come ovviare alla situazione. Se nelle case si può pensare a utilizzare esclusivamente lampadine a LED, evitare di lasciare in stand-by i dispositivi e optare per forniture a tariffa fissa, per il mining il discorso è ovviamente più complesso, proprio per il fatto che i calcoli necessari al mining con il meccanismo di consenso Proof-of-Work (che accomuna ad esempio Bitcoin, Dogecoin, Ethereum Classic, Litecoin, Monero, Bitcoin Cash, Bitcoin SV e Zcash) necessitano di un grande quantitativo di energia.

Ci sono però alcuni accorgimenti che anche chi si dedica al mining può adottare, per cercare di risparmiare in una fase così problematica per quanto riguarda i costi collegati all’energia elettrica. In particolare è l’hardware a dover essere curato con grande scrupolo, partendo dall’utilizzo di speciali alimentatori certificati “80 Plus” (in pratica caratterizzati da un minimo di efficienza pari all’80%), grazie ai quali è possibile ridurre i consumi nell’ordine del 15% rispetto agli altri.

Si può inoltre pensare di sostituire gli hard disk, passando a quelli a stato solido di tipo SSD, i quali permettono di aumentare la capacità di caricamento del sistema operativo e ridurre per questa via il consumo di energia collegato ad ogni impianto di 5-15 watt. Mentre altri 20 possono essere risparmiati facendo leva su RAM moderne (dalle DDR4 in su) e processori più recenti.

Questi sono i trucchi cui possono pensare le realtà più piccole, mentre per quanto riguarda quelle più grandi la strada ideale potrebbe essere rappresentata dalle relazioni con qualche centrale elettrica, teso a scoprire se ci siano eccessi di fornitura da smaltire, quindi avviando trattative per assorbirla in caso di risposta positiva. Sempre alle realtà più grandi, con possibilità di investimento non comuni, può poi adattarsi al meglio un’altra strada alternativa, quella relativa alla creazione di parchi solari ed eolici da utilizzare per l’attività di estrazione delle criptovalute, che presumono però la richiesta di permessi, coi tempi collegati alla burocrazia, che in Italia è notoriamente lenta.

L’esplosione dei prezzi potrebbe allontanare il mining dall’Europa

Il mining è un’attività che dipende per larga parte da un fattore ben preciso, le tariffe elettriche. Proprio per questo le aziende operanti nel settore si spostano dove i prezzi sono più convenienti. Per capirlo basta guardare un rapporto risalente al 2018, redatto da Elite Fixtures e compilato tenendo conto delle tariffe medie di 115 Paesi di ogni parte del globo, delle informazioni rilasciate dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) e dalla United States Energy Association, basandosi sull’utilizzo di modelli specializzati di mining, tra cui AntMiner S9, AntMiner S7 e Avalon 6.

All’epoca il Paese ideale per il mining era il Venezuela, ove per estrarre un singolo Bitcoin bastavano 531 dollari, mentre ne servivano addirittura 26170 in Corea del Sud, a causa di una legislazione estremamente severa. Discrepanze enormi, tali da spingere al continuo esodo i miners, andandosi a saldare alle decisioni prese dai governi, come è accaduto ad esempio in Cina e in Iran, ove il mining è stato bandito.

Ad oggi, in mancanza di analisi come quella condotta nel 2018, possiamo dire che ci sono Paesi in grado di attrarre i miners, come Stati Uniti, Canada, Costa Rica e Argentina. Al contrario, l’Europa sta diventando off limits per le aziende del ramo, non solo per i rincari dell’energia, ma anche per un sentimento sempre più contrario dei governi verso il mining fondato su Proof-of-Work. Un combinato disposto che potrebbe alla fine indurre le stesse a lasciare il vecchio continente.

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