La Svezia sembra decisa a proseguire la sua crociata contro il Proof-of-Work (PoW), l’algoritmo di consenso su cui si fonda Bitcoin, considerandolo con tutta evidenza una minaccia ambientale troppo grande per poterlo ancora consentire.

Le indiscrezioni al proposito si vanno facendo sempre più insistenti, di ora in ora e, del resto già da mesi il Paese nordico aveva fatto capire di non essere ben disposto verso il sistema che regola i meccanismi di funzionamento della blockchain di BTC e un gran numero di altre criptovalute. Un orientamento sposato peraltro da almeno altri due Paesi dell’area, ovvero la Norvegia e l’Islanda.

Se nella discussione relativa al nuovo regolamento europeo di settore noto come Markets in Crypto Assets (MiCA) la questione era stata stralciata, bocciando un emendamento presentato al Parlamento Europeo da alcuni esponenti socialisti, il quale riprendeva questo orientamento di chiusura, ora torna a fare capolino proprio con la Svezia decisa a fare da vera e propria testa di ariete contro il mining PoW.

La discussione in atto tra Svezia e Commissione Europea

Secondo le voci che circolano in queste ore, nei giorni passati la questione relativa al Proof-of-Work sarebbe stata discussa tra l’organismo svedese che regola i processi finanziari e la Commissione Europea. Nel corso dei colloqui intrattenuti, la Svezia avrebbe quindi fatto sapere di essere pronta a bandire questo genere di mining dal proprio territorio.

Si tratta di una presa di posizione non proprio irrilevante, se si considera che il mining di Bitcoin deve essere portato avanti in Paesi ove l’energia elettrica costa poco, proprio in considerazione del grande dispendio energetico comportato. Alcuni di questi Paesi sono presenti proprio all’interno dell’eurozona, questione non proprio di lana caprina, considerata l’attenzione nei confronti dell’ecosistema di alcuni di loro.

Dopo la decisione presa dal governo cinese, che aveva vietato l’attività nel suo territorio nazionale, in quanto poteva andare a comprometterne gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’immediato futuro, un bando da parte dei Paesi del Nord Europa potrebbe avere notevoli ripercussioni, limitando le opzioni a disposizione delle mining farm.

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Proof-of-Work: cosa potrebbe accadere ora?

Se è vero che ad esempio gli Stati Uniti sono stati ben lieti di accogliere le aziende minerarie di criptovaluta sul proprio territorio, in particolare in Texas, occorre anche considerare un altro fatto di non secondaria importanza. I consumi di energia legati alla gestione e al mantenimento della rete BTC equivalgono a quelli di un Paese di media grandezza come la Svizzera.

Ciò vuol dire che anche Paesi come gli Stati Uniti non possono assumersi a cuor leggero un peso di questa portata, soprattutto in un momento in cui la questione energetica si affaccia al proscenio mondiale sotto svariate vesti.

Il riferimento è non solo alle preoccupazioni ambientali sollevate dal movimento Fridays for Future ispirato dalle idee di Greta Thunberg, ma anche a quanto sta accadendo a seguito del conflitto tra Russia e Ucraina, con l’embargo alle fonti energetiche russe.

L’energia potrebbe quindi non solo aumentare i propri prezzi, ma anche costringere i governi a un utilizzo più razionale. Non sono pochi coloro che affermano la necessità di andare incontro alle esigenze di apparati produttivi molto più strategici di quanto non siano le criptovalute, in particolare quelle basate sul Proof-of-Work.

Un orientamento il quale potrebbe andarsi a riflettere alla stregua di un tornado sullo stesso settore crypto, spingendo molte aziende a convertirsi ad un modello molto più sostenibile dal punto di vista ambientale, ovvero il Proof-of-Stake.

Ethereum si avvia verso il Proof-of-Stake

Mentre le voci si rincorrono,  Ethereum si avvia a grandi passi verso Merge, l’aggiornamento considerato alla stregua di una seconda vita per il progetto di Vitalik Buterin. I lavori portati avanti nel corso degli ultimi anni sono infatti andati nella direzione giusta, quella che prevede la sostituzione del Proof-of-Stake (PoS) all’energivoro Proof-of-Work.

Com’è noto, il primo meccanismo di consenso prevede la sostituzione del modello di aggiunta dei blocchi alla rete tramite staking a quello fondato invece su un’attività di calcolo sempre più complessa. Senza entrare nei particolari tecnici, ciò vuol dire che con il PoS le transazioni diventano più rapide, molto più convenienti, ma soprattutto molto meno impegnative in termini di consumi elettrici.

La decisione presa da Ethereum si è andata tramutando con l’avanzata del tempo alla stregua di una benedizione per il contraltare del Bitcoin. Tanto che da più parti si inizia a dare come concreta una possibilità che sino a pochi mesi fa sarebbe apparsa alla stregua di una semplice ipotesi scolastica o, nel caso degli evangelisti di BTC, una vera e propria eresia. Stiamo parlando del sorpasso da parte di ETH al primo posto nella classifica di capitalizzazione di mercato.

Considerati come al momento l’icona di Satoshi Nakamoto vanti una capitalizzazione pari a oltre il doppio rispetto a Ethereum potrebbe sembrare una tesi abbastanza azzardata. Ma i termini della questione si potrebbero ribaltare decisamente nel caso il blocco nordico riuscisse a sfondare in ambito UE, confidando soprattutto nell’appoggio alle proprie tesi da parte del nuovo governo tedesco.

L’esecutivo di Berlino, guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz, vede infatti al suo interno l’importante presenza dei Verdi, i quali potrebbero optare per far pesare il proprio ruolo proprio nella discussione sul mining PoW, facendo così da sponda alla Svezia.

Senza contare la posizione ormai ben nota di Elon Musk, critico verso l’impatto negativo di BTC nei confronti dell’ambiente, tanto da aver chiuso i pagamenti in criptovaluta accettati lo scorso anno da Tesla per i propri modelli e da proporre il Bitcoin Mining Council per promuovere un mining più sostenibile.

Un combinato disposto il quale potrebbe rivelarsi ingestibile, mettendo in crisi la regina delle criptovalute e favorendo di converso Ethereum, con  conseguenze di larga portata sulle stesse quotazioni dei due token principali.

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