Le Privacy Coin rappresentano una categoria del tutto particolare all’interno del panorama crypto. Si tratta infatti di token che si prefiggono di elevare al massimo i livelli di riservatezza delle transazioni, in modo tale da impedire che le persone coinvolte possano essere rintracciate. Il problema che pongono è di non facile soluzione, per le autorità di contrasto alle attività di riciclaggio di soldi provenienti da attività illegali e proprio per questo sono viste con estremo sospetto a livello istituzionale.

Oltre che per il riciclaggio di soldi sporchi, queste criptovalute sono inoltre utilizzate come metodo di pagamento nel corso degli attacchi ransomware. La logica che ispira questo dato di fatto è abbastanza prevedibile: perché rischiare di essere individuati dopo un’attività informatica di carattere criminale, se esistono strumenti in grado di celare l’identità di chi li conduce?

In un panorama che comprende altri campioni come Dash e Zcash, spicca soprattutto Monero, che della categoria è diventata una sorta di emblema. Tanto da spingere l’Internal Revenue Services degli Stati Uniti a promettere una vera e propria taglia a favore di chi avesse contribuito a spezzarne la privacy. Una ricompensa fatta propria da CipherTrace, ricompensata con ben 625mila dollari nel 2020 per essere riuscita a costruire uno strumento che smantellava il sistema approntato.

Proprio l’ostracismo decretato dall’IRS, e da altre agenzie analoghe, a partire da quella russa, hanno peraltro spinto molti exchange a escluderlo dalle proprie contrattazioni, temendo con tutta evidenza possibili ripercussioni legali e frizioni con il governo degli Stati Uniti. Una serie di eventi che si pensava avrebbero spinto gli sviluppatori di XMR a desistere, ma i quali, al contrario, hanno avuto come risposta nuovi lavori tesi a rendere ancora più elevata la riservatezza delle operazioni che ne prevedono l’impiego.

L’ultimo aggiornamento di Monero

L’hard fork teso ad aggiornare Monero è stato completato con successo al blocco 2.688.888 e, in base alle notizie emerse sinora, ne sarebbe conseguito un notevole miglioramento del sistema grazie all’aggiunta di una serie di nuove funzionalità tese a conferire una protezione della privacy. Tra quelle apportate occorre in particolare ricordare:

  •  l’aumento del numero dei firmatari per la firma ad anello di ogni transazione, che è stato portato da 11 a 16. Per firme ad anello si intendono quelle che virtuali che ogni membro del team è chiamato a creare. In conseguenza di questo aumento riuscire a determinare quale chiave sia stata usata per la costruzione della firma è ancora più complicato, se non addirittura impossibile;
  • al precedente Bulletproofs, nuovo protocollo non interattivo con zero knowledge proof inventato da Jonathan Bootle, professore dell’Università di Londra e Benedikt Bunz, di stanza presso l’ateneo di Stanford, è stato aggiunto Bulletproofs+, il quale va a ridurre le transazioni aumentando al contempo l’efficienza degli scambi, con un aumento di rendimento che dovrebbe attestarsi in una forbice tra il 5 e il 7%;
  • l’inclusione dei tag di visualizzazione, per effetto dei quali la velocità di sincronizzazione dei portafogli aumenta nell’ordine del 30-40%;
  • le modifiche relative alle commissioni, destinate secondo gli sviluppatori di Monero a ridurne l’eccessiva volatilità e a conferire sicurezza aggiuntiva all’interno sistema.

Le modifiche introdotte con l’hard fork dovrebbero quindi comportare un miglioramento dell’intero meccanismo su cui si fonda Monero. In particolare, però, sembrano in grado di celare del tutto l’identità dei due estremi di una transazione. Proprio questo aspetto potrebbe portare ben presto l’azienda in rotta di collisione con le autorità degli Stati Uniti (e non solo), alla luce di quanto sta accadendo a Tornado Cash.

Si va verso la guerra tra Stati Uniti e Monero?

Sin dall’inizio del loro percorso le criptovalute sono state accusate di essere una vera e propria lavanderia di denaro sporco e uno strumento per l’economia criminale. Un’accusa infamante rivolta in particolare contro il Bitcoin, presto smentita dalla fondazione che presiede allo sviluppo dell’icona inventata da Satoshi Nakamoto. In effetti forzare i profili di riservatezza di BTC non è eccessivamente complicato e i dati introdotti all’interno della blockchain non possono essere modificati.

Se BTC ha potuto sottrarsi alle accuse della finanza tradizionale, è stato proprio grazie all’esordio delle Privacy Coin, valuta virtuale creata con lo scopo principale di offrire livelli di privacy sempre più performanti ai propri utilizzatori. Una categoria di token la quale ha immediatamente destato curiosità, sino ad entrare nel mirino delle autorità proprio per la missione che si propongono, ovvero assicurare l’anonimato agli utenti.

La taglia offerta dall’IRS è stato l’atto che ha testimoniato l’evidente fastidio verso Monero, non a caso indicato come il token preferito sul Dark Web, ovvero la parte di Internet ove si celano i mercati su cui sono trafficati stupefacenti, armi, dati ed esseri umani. Una fama controversa la quale Monero non solo non si è data alcuna pena di contrastare, ma che ha addirittura perseguito con sempre maggior pervicacia.

Ben presto l’aria intorno all’azienda si è fatta sempre più pesante, soprattutto quando agli Stati Uniti si sono aggiunti altri Paesi intenzionati a spuntare le unghie alle Privacy Coin, in particolare l’India, l’Olanda e la Francia. La domanda che ci si dovrebbe fare, però, a questo punto è la seguente: è possibile vietare realmente Monero? I pareri sono molti discordi.

Vietare Monero è impossibile, secondo molti

La prima risposta al quesito che abbiamo esplicitato è arrivata da John McAfee, prima che il controverso creatore dell’omonima casa di sicurezza informatica morisse in circostanza ancora abbastanza oscure. Proprio lui, su Twitter, affermò con la massima decisione che il bando nei confronti di XMR era una vera e propria utopia.

Un parere rinforzato dal giudizio espresso da un utente di Reddit, jp4ragon, secondo il quale è impossibile vietare una moneta virtuale in quanto è  sempre possibile aggirare un divieto simile facendo ricorso ad un fork e non è neanche possibile vietarne la tecnologia sottostante. Un parere forse troppo perentorio, ma che sembra in effetti discretamente fondato.

Alla fine, però, la soluzione migliore potrebbe rivelarsi quello di una ulteriore stretta per quanto riguarda le normative KYC (Know Your Customer) e AML (Anti Money Laundering), ovvero quelle richieste agli exchange in sede di apertura di un conto da parte di un nuovo cliente. Una strada la quale è spesso resa complicata dal mancato dispiegamento di questi accorgimenti legislativi da parte delle stesse piattaforme, ma che potrebbe essere perseguita con l’adozione di provvedimenti draconiani verso i siti che ancora contravvengono alle normative esistenti.

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