Le nuove misure messe in campo dall’Unione Europea tese a facilitare il tracciamento di Bitcoin e altri asset virtuali non sembrano incontrare il gradimento del mondo crypto. A testimoniare il dato è la lettera inviata da ben 46 realtà di rilievo del settore ai 27 Ministri delle Finanze dei Paesi aderenti all’eurozona. Una missiva nella quale si chiede in particolare di tornare indietro sull’obbligo a carico delle aziende di rivelare i dettagli delle transazioni in criptovalute.

Com’è noto, proprio sui profili di privacy assicurati le criptovalute hanno fondato sin dall’inizio una notevole parte delle loro rilevanti fortune, incontrando il gradimento di quegli utenti che vogliono godere del massimo della riservatezza possibile. I provvedimenti allo studio sul territorio continentale, però, andrebbero a contrastare questa peculiarità degli asset virtuali, destando grande preoccupazione nell’industria legata all’innovazione finanziaria.

La lettera inviata ai ministri delle finanze avanza la preoccupazione che le nuove regole possano mettere a repentaglio la crescita impetuosa del settore e chiede che non vadano oltre quelle che già sono in vigore nell’ambito della Global action task force (Gafi), in cui sono fissati gli standard per l’opera di contrasto al riciclaggio di denaro.

Da cosa deriva la protesta del settore crypto

Il motivo è l’approvazione da parte dei legislatori europei di una serie di nuove regole che hanno un preciso intento: impedire che le valute digitali possano rivelarsi il cavallo di Troia per la sottrazione di risorse alla fiscalità, oltre che per il riciclaggio di denaro proveniente da attività illegali.

Una preoccupazione di vecchia data, se si ripensa alle durissime parole di Davide Serra, il fondatore di Algebris, contro il Bitcoin, indicato anni fa dal finanziere vicino a Matteo Renzi come una lavanderia di soldi sporchi. Uno dei tanti pareri negativi provenienti dalla finanza tradizionale che si sono accumulati nel corso della prima fase di affermazione di BTC per poi cedere il passo ad un atteggiamento più possibilista.

Le nuove regole, però, hanno subito destato il fuoco di sbarramento dell’industria crittografica. Il primo a muoversi è stato un gigante come Coinbase Global, il maggiore exchange operante sul territorio statunitense, i cui vertici non hanno esitato a pronunciarsi contro le norme che impongono la raccolta e la conservazione delle informazioni di tutti coloro che sono coinvolti nelle operazioni di scambio in ambito digitale.

Nella lettera che è stata inoltrata da 46 leader dell’innovazione finanziaria operanti sul vecchio continente, si afferma in particolare che il nuovo regolamento non solo ridurrebbe la riservatezza di cui godono attualmente coloro che intraprendono transazioni criptate, ma ne ridurrebbe anche la necessaria sicurezza. Resta da capire se queste preoccupazioni siano destinate a fare breccia nelle istituzioni finanziarie del vecchio continente o meno.

Che cosa chiedono gli interessati

Se sinora abbiamo visto cosa non vogliono i 46 firmatari della comunicazione, è ora giunto il momento di analizzare le loro richieste, contenute all’interno della lettera. La prima è quella di escludere i progetti rientranti nell’ambito della DeFi (Decentralized Finance) dal raggio di azione del regolamento MiCA (Markets in Crypto Assets), attualmente in discussione presso il Parlamento Europeo.

Oltre ai progetti DeFi anche le stablecoin decentralizzate dovrebbero poi essere oggetto di esclusione dalla discussione in atto per il nuovo quadro di regole cui dovrebbe conformarsi la scena finanziaria europea, tradizionale o meno.

La motivazione alla base della richiesta è che l’Europa già vanta al momento normative crittografiche più complesse e restrittive rispetto ad altre parti del globo. Un dato di fatto che, a detta di Jean-Marie Mognetti, CEO di CoinShares, andrebbe a scoraggiare le aziende dagli investimenti per un percorso di crescita in ambito continentale.

Forse più sincera è stata però Diana Biggs, chief security officer di DeFi Technologies, la quale non ha avuto eccessive remore nell’aggiungere il desiderio di aumentare l’influenza dell’industria crittografica europea nei percorsi tesi a definire le politiche a Bruxelles. Ovvero di fare puro e semplice lobbismo, una pratica la quale, però, non ha certo come obiettivo la tutela dei consumatori.

Cosa potrebbe accadere ora

Naturalmente, in molti si chiedono ora cosa potrebbe accadere dopo l’iniziativa ricordata del mondo crypto. In ambito continentale, infatti, la vecchia diffidenza verso il denaro digitale è stata intaccata molto di meno rispetto a quanto accaduto negli Stati Uniti, ove l’ordine esecutivo di Joe Biden ha dischiuso nuove prospettive per il comparto.

L’Unione Europea, a sua volta, ha invece deciso di procedere coi piedi di piombo, anche in relazione al ventilato progetto di un euro digitale, sul quale sono soltanto state avviate le consultazioni, senza però stabilire una vera e propria road map per la sua realizzazione. Un atteggiamento quindi di grande cautela, il quale sembra del resto la spia di un vecchio pregiudizio verso gli asset virtuali.

Sulla discussione, peraltro, potrebbero avere una certa influenza anche i cascami del conflitto tra Russia e Ucraina. Diventerebbe infatti complicato spiegare all’opinione pubblica un trattamento meno duro in termini di privacy a vantaggio delle aziende dedite all’innovazione finanziaria in un momento in cui si cerca di impedire a Mosca di sfuggire alle sanzioni utilizzando proprio le criptovalute.

Non resta quindi che attendere ulteriori notizie per capire se le considerazioni della scena crittografica europea siano in grado di essere accolte o se, come sembra al momento più probabile, ad essere dichiarate irricevibili in ambito istituzionale.

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