Le privacy coin rappresentano un ambito del tutto particolare in un settore come quello delle criptovalute già ampiamente chiacchierato, spesso a sproposito. I token in questione, infatti, si propongono di conferire livelli sempre più elevati di riservatezza alle transazioni in cui sono impiegati. Una riservatezza la quale, però, rischia di sconfinare in una sorta di territorio proibito, ovvero quello rappresentato dall’anonimato. Proprio per questo le privacy coin sono non solo discusse, ma anche combattute.

Cosa sono le privacy coin

Per privacy coin si intendono le criptovalute che si propongono di regalare il massimo possibile di riservatezza ai loro utenti. Portano cioè all’estremo un discorso che è destinato a suscitare notevole irritazione negli ambienti governativi di mezzo mondo o più.

In un momento storico in cui si cerca di contrastare l’evasione fiscale che sottrae importanti risorse alla collettività e di renderne impossibile l’utilizzo per attività di carattere criminale, le criptovalute orientate alla riservatezza equivalgono infatti al classico elefante nella cristalleria.

Non a caso, molti rappresentanti del mondo politico ormai da tempo affiancano gli esponenti di rilievo della finanza tradizionale nella denuncia del denaro digitale come mezzo privilegiato dell’economia criminale. Una accusa probabilmente esagerata, ma destinata a provocare grande allarme nell’opinione pubblica.

Perché le privacy coin sono così temute?

Il motivo che spinge a temere le privacy coin, quindi, è il possibile utilizzo che possono farne le bande criminali per foraggiare la propria attività. Basta in effetti penetrare nel Dark Web, la parte più nascosta di Internet, per capire meglio questa affermazione. Sui mercati che caratterizzano la Darknet, infatti, si utilizzano proprio le criptovalute per alimentare i traffici di stupefacenti, armi ed esseri umani.

Non solo Bitcoin, ma anche alcune delle privacy coin più note, a partire da Monero, Dash e Zcash.
Di fronte a questa realtà, però, ci si dovrebbe fermare e cercare di riflettere. Soprattutto, bisognerebbe porsi una domanda: sono fondate le accuse nei confronti di questi particolari token? Qui la questione si fa in effetti molto interessante.

In origine fu il Bitcoin

La polemica sull’anonimato garantito dalle criptovalute è ormai datata. Sono infatti anni che il denaro virtuale è accusato di essere un mezzo ideale per alimentare attività illecite. Basterebbe andare al 2017 per trovare le parole di fuoco riservate da Davide Serra, il fondatore di Algebris, al Bitcoin. Accusato in particolare di essere una vera e propria lavanderia di denaro sporco. Una tesi già all’epoca irrisa dalla Bitcoin Foundation, ricordando che nella realtà è esattamente il contrario: non esisterebbe mezzo di movimentazione di risorse finanziarie più trasparente di BTC.

In effetti, la tesi degli evangelisti dell’icona crittografica inventata da Satoshi Nakamoto sembra del tutto fondata: proprio l’iscrizione dei dati di una transazione all’interno della blockchain rende possibile individuarne gli estremi. E’ cioè possibile sapere con precisione chirurgica qual è il wallet (portafogli elettronici) da cui partono i soldi e quello a cui arrivano.

Una tesi del resto fatta propria da Gaspare Jucan Sicignano, ricercatore in diritto penale dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Nel suo “Bitcoin e riciclaggio”, pubblicato nel 2019, proprio lui afferma anzi che neanche il problema relativo all’individuazione dei possessori dei wallet incriminati sarebbe tale. Basterebbe infatti utilizzare normali tecniche di investigazione digitale per dissolverlo.

Il caso Monero

Nell’ambito delle privacy coin un posto del tutto particolare spetta a Monero. Nata nel 2014, XMR ha presto iniziato a far parlare di sé e non proprio in termini lusinghieri. Il motivo della sua pessima fama è da individuare nell’utilizzo di un protocollo, Cryptonote, che funziona in modo molto diverso da quelli tradizionali. In particolare, andando a spingere il pedale dell’acceleratore sul versante dell’anonimato. Per farlo lascia pubblica la contabilità, ma provvede ad oscurare la possibilità di consultare i blocchi componenti la catena. In pratica lascia libertà di osservare l’ammontare in valuta presente in un wallet, ma impedisce di vederne la reale attività. Viene quindi meno la tracciabilità delle risorse movimentate.

Proprio questa caratteristica ha spinto molte autorità di controllo nazionali ad attivarsi contro Monero. Tra di esse si è segnalata l’Internal Revenue Services (IRS) degli Stati Uniti, che è arrivata addirittura a proporre una ricompensa pari a 625mila dollari a chi riesca a spezzarne i profili di riservatezza. Un appello fatto proprio da Ciphertrace, che ha affermato di essere in grado di farlo grazie ad uno strumento ideato allo scopo. Un annuncio estremamente importante, alla luce del fatto che Monero è il token più utilizzato in ambito ransomware. Ovvero nell’attività illegale che gli hacker conducono a danno di enti e aziende, criptandone i dati dei sistemi informatici al fine di farsi pagare ingenti riscatti.

Non solo Cryptonote

Se Cryptonote è diventato il protocollo più popolare tra le privacy coin, non è però il solo ad essere utilizzato per questo genere di valute virtuali. Esistono infatti perlomeno altri due meccanismi analoghi, ovvero:

  • Zero Knowledge, utilizzato da Zcash. In questo caso non viene ad essere oscurata la reale attività del wallet, ma il portafoglio stesso. In pratica si arriva al vero e proprio anonimato, in quanto i due utenti che danno vita alla transazione sono in grado di scambiare le informazioni necessarie senza rivelare la propria identità;
  • MimbleWimble, il protocollo adottato da Litecoin. Il suo nome evoca la formula della Maledizione Languelingua, un incantesimo in vigore nel magico mondo di Harry Potter. Se nella celebre saga letteraria e cinematografica la lingua dell’avversario non sarà più in grado di pronunciare incantesimi, nell’ecoambiente di Litecoin sono i blocchi a non poter più rivelare informazioni.

Privacy coin: garantiscono realmente l’anonimato?

Abbiamo quindi visto cosa siano le criptovalute orientate alla riservatezza e cosa si propongano. A questo punto, però, ci si dovrebbe porre una domanda ben precisa: Monero, Dash, Zcash e le altre privacy coin sono realmente in grado di regalare l’anonimato ai loro possessori? In effetti in molti si sono posti il quesito, fornendo risposte di vario genere.
C’è però un dato che troppo spesso non viene considerato, quando si accenna a questa particolare tipologia di token. Chi vuole acquistarli, infatti, deve obbligatoriamente passare attraverso un exchange per aprire un conto attraverso il quale operare.

Le piattaforme di scambio, però, devono necessariamente sottostare alle normative esistenti in ogni Paese. Normative che prevedono in particolare il rispetto delle regole KYC (Know Your Customer) e AML (Anti Money Laundering). Occorre cioè che il conto sia collegato ad una persona reale. Di conseguenza, tutti i movimenti di denaro che riguardano tale account sono oggetto di schedatura preventiva.

Il futuro delle privacy coin

Come abbiamo visto, quindi, le privacy coin sono molto discusse. La loro popolarità è di tipo non proprio positivo, in quanto rappresentano un possibile strumento per l’economia criminale. Anche da questo punto di vista, si potrebbero muovere non poche obiezioni. Partendo magari da quanto riferito da Natalya Kasperskaya, cofondatrice della celebre casa di cyber-security, secondo la quale anche il Bitcoin sarebbe stato usato per fini non proprio nobili. Ovvero per foraggiare le attività della CIA all’estero, senza passare attraverso la necessaria autorizzazione delle assemblee legislative statunitensi.

Peraltro, si potrebbe anche obiettare che il denaro contante rappresenta il grosso delle risorse mobilitate per trafficare in armi, droga ed esseri umani, senza che nessuno lo metta in discussione. Il problema è che, invece, non sono poche le voci che chiedono la messa fuorilegge di Monero e delle sue sorelle. Tanto da spingere non pochi exchange a depennarle dalle proprie contrattazioni. Ove questa tendenza proseguisse e si intensificasse, per le privacy coin potrebbe essere la fine. A meno di non rinunciare alla riservatezza, ovvero alla propria maggiore peculiarità.