Negli ultimi anni Apple ha puntato molto sulla propria immagine di azienda green, arrivando a presentare prodotti come gli Apple Watch Serie 9 e Ultra 2, e successivamente anche il Mac Mini, come i primi dispositivi a zero emissioni nette di carbonio. Una comunicazione che aveva già attirato consensi, ma anche dubbi e critiche, e che oggi torna al centro del dibattito con un cambio di rotta a livello globale.

Ecco perché Apple non pubblicizzerà più i propri prodotti come carbon neutral

Tutto è cominciato a febbraio di quest’anno quando un gruppo di consumatori ha intentato causa contro Apple presso la corte federale di San Jose, sostenendo di essere stato indotto in errore dalle dichiarazioni di carbon neutrality; al centro delle contestazioni ci sono i progetti di compensazione su cui Apple aveva fatto affidamento, come il Chyulu Hills Project in Kenya o il Guinan Project in Cina, accusati di non aver prodotto reali benefici ambientali.

Secondo i querelanti, quelle aree erano già protette o con foreste ben prima dell’intervento dell’azienda di Cupertino, il che significherebbe che la riduzione delle emissioni sarebbe avvenuta comunque indipendentemente dai progetti finanziati dalla società. Per questo i consumatori hanno chiesto un risarcimento danni e un’ingiunzione che impedisca all’azienda di pubblicizzare i propri prodotti come carbon neutral.

Più di recente, un tribunale di Francoforte ha accolto le istanze della Deutsche Umwelthilfe (DUH), un’associazione ambientalista che aveva accusato Apple di pratiche di greenwashing; la sentenza vieta all’azienda di promuovere gli Apple Watch come prodotti a zero emissioni in Germania, giudicando fuorvianti le campagne basate sul Restore Fund, che finanzia riforestazioni in Sud America tramite piantagioni di eucalipto.

Gli ecologi sostengono infatti che queste monocolture riducano la biodiversità e abbiano un impatto idrico rilevante, rendendo il progetto meno sostenibile di quanto Apple comunicasse. Inoltre, i contratti di affitto dei terreni scadono nel 2029, senza garanzie di rinnovo, un aspetto che mette ulteriormente in dubbio la durabilità del programma.

Oltre a tutto ciò, da settembre 2026 entrerà in vigore una normativa europea che proibirà a tutte le aziende di usare termini come carbon neutral o a impatto zero nelle strategie di marketing, indipendentemente dalla reale sostenibilità dei prodotti. Per adeguarsi, Apple ha già modificato la propria comunicazione a livello globale, oggi né gli Apple Watch né il Mac Mini vengono più pubblicizzati come a emissioni zero.

Questo però non significa che l’impegno ambientale sia venuto meno, Apple afferma di aver ridotto le emissioni dirette dei suoi smartwatch di circa l’80%, compensando il resto con crediti ambientali, e di voler raggiungere la piena neutralità carbonica entro il 2030 in tutta la filiera; basti pensare che l’attuale Apple Watch Series 11 ha un’impronta di 8,1 Kg di CO₂ equivalente, leggermente inferiore agli 8,3 Kg della serie precedente.

Tutto ciò mette in evidenza una questione cruciale, quanto le affermazioni delle big tech in materia di sostenibilità siano realmente verificabili; i progetti di compensazione del carbonio sono spesso criticati per non garantire benefici aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero verificati comunque, e il rischio è che il concetto di neutralità carbonica diventi più uno strumento di marketing che una misura concreta di lotta al cambiamento climatico.

La vicenda Apple dimostra come autorità e tribunali stiano diventando sempre più severi verso questo tipo di comunicazioni, gli utenti dovranno quindi abituarsi a un linguaggio diverso e meno assoluto quando si parla di sostenibilità dei prodotti tecnologici, con la consapevolezza che il percorso verso la vera carbon neutrality sarà fatto di compromessi, riduzioni graduali e progetti di compensazione ancora sotto osservazione.