È finalmente entrato in vigore il Digital Markets Act (DMA), il nuovo regolamento ideato dall’Unione Europea per dare finalmente un quadro di regole certe sui mercati digitali con l’intento di porre finalmente fine alle pratiche sleali delle imprese che operano da gatekeeper nel settore delle piattaforme online, procacciandosi in tal modo una vera e propria rendita di posizione.

Il provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE nel passato mese di ottobre e proprio il primo giorno di novembre è entrato in vigore, anche se per vederne l’effettiva applicazione si dovrà attendere il prossimo mese di maggio del 2023. Il Digital Markets Act era stato presentato dalla Commissione europea nel dicembre 2020 insieme al Digital Services Act (DSA). Si tratta in effetti di un passo importante per dare finalmente risposte concrete in termini di contrasto ai monopoli in un settore di fondamentale importanza. Andiamo quindi a vedere di cosa si tratta e delle sue implicazioni.

Digital Markets Act: la lotta contro le distorsioni del mercato entra nella fase cruciale

Il provvedimento sui mercati digitali si assume un compito in effetti molto importante e delicato, quello di andare a definire le situazioni in cui una piattaforma online di grandi dimensioni deve essere considerata un gatekeeper. Con questo termine si indica un importante punto di accesso tra utenti commerciali e consumatori che gode di una posizione privilegiata, dalla quale è in pratica in grado di poter dettare le regole. Una vera e propria rendita di posizione tale da poter infine creare una strozzatura nell’economia digitale rendendo impossibile una reale concorrenza a vantaggio dei consumatori.

Al suo interno sono identificati i servizi offerti dalle piattaforme su cui la legge può esplicitare il suo raggio d’azione: un ambito in cui rientrano i social media come Facebook di Meta, per la condivisione di video, a partire da YouTube, gli store di app software, tra cui quelli di Google e Apple, applicazioni di messaggistica, con un focus su WhatsApp, e gli e-commerce, con Amazon in prima linea.

In pratica, ad essere sottoposte a monitoraggio sono le cosiddette Big Tech statunitensi, ovvero le grandi aziende tecnologiche che nel corso degli ultimi anni non hanno mancato di approfittare di tutta la loro forza per spadroneggiare anche sul vecchio continente. Se la Commissione UE ha sin dall’inizio posto l’accento sul fatto che il DMA non deve essere inteso come una legge disegnata alla stregua di un vestito per ingabbiare i colossi a stelle e strisce, per gli osservatori non è stato difficile fare due più due e concludere che la gabbia prevista dalla nuova legge sia perfettamente adattabile alla loro situazione.

Cosa si intende per gatekeeper

Come si può facilmente dedurre, il Digital Markets Act ruota intorno al concetto di gatekeeper. La legge sui mercati digitali provvede a stabilire una serie di criteri oggettivi e molto precisi nell’intento di riuscire finalmente a definire le piattaforme online di grandi dimensioni in grado di esercitare una funzione di controllo dell’accesso. In tal modo diventa possibile la focalizzazione sui pressanti problemi che sono collegati alla presenza di grandi piattaforme, tali da limitare la concorrenza sul mercato e da rivelarsi quindi alla stregua di un danno per i consumatori europei.

In particolare, a rientrare in questa categoria, sono le imprese che:

  • detengono una posizione economica di grande rilievo, tanto da poter avere un impatto significativo sul mercato interno, operando in più paesi dell’UE;
  • sono destinatarie di una forte posizione di intermediazione, andando di fatto a collegare un’ampia base di utenti a un rilevante numero di aziende;
  • detengono (o stanno conseguendo le condizioni per poterlo fare) una posizione solida e duratura sul mercato, ovvero stabile nel corso del tempo. In pratica è un gatekeeper l’impresa che ha corrisposto ai due criteri indicati in precedenza in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari.

I vantaggi del Digital Markets Act

Quali sono i vantaggi che si propone di offrire la nuova legge sui servizi digitali? In particolare i seguenti:

  • la creazione di un contesto più equo a favore degli utenti commerciali che dipendono dai gatekeeper per l’offerta dei loro servizi nel mercato unico;
  • la possibilità anche per le imprese innovative e le start-up tecnologiche di competere e innovare nell’ambito delle piattaforme online, grazie all’eliminazione di norme non solo inique, ma anche tali da andarne a limitare in partenza le possibilità di sviluppo;
  • la disponibilità di un numero maggiore di servizi per i consumatori, migliori anche in termini di qualità e la possibilità di poterli cambiare con maggiore facilità nel caso in cui non siano contenti del proprio fornitore o ne abbiano individuato uno ritenuto più corrispondente alle proprie esigenze, anche in termini di convenienza;
  • i gatekeeper potranno a loro volta mantenere inalterata la possibilità di innovare e offrire nuovi servizi, senza però poter più fare ricorso a pratiche sleali nei confronti degli utenti commerciali e dei clienti che dipendono da loro, ottenendo per questa via un vantaggio indebito.

Come si può notare, l’UE pone un forte accento sulla posizione di squilibrio che la forza dei soggetti dominanti, i gatekeeper, ha creato nel corso degli ultimi anni. In pratica va ad accogliere non soltanto le rimostranze dei consumatori dislocati all’interno dell’eurozona, ma anche i malumori delle aziende che si sono trovate troppo spesso a dover soccombere a pratiche commerciali portate avanti senza alcuno scrupolo dalle Big Tech.

Obblighi e divieti per i gatekeeper

Il Digital Markets Act provvede poi a stabilire un elenco di obblighi e divieti che i gatekeeper dovranno rispettare nel corso delle loro operazioni quotidiane al fine di garantire mercati digitali equi e aperti alla concorrenza. In particolare, dovranno:

  • rendere i propri servizi interoperabili per i terzi in condizioni specifiche;
  • permettere agli utenti commerciali l’accesso ai dati che generano utilizzando la piattaforma;
  • fornire alle imprese le quali fanno pubblicità sulla piattaforma gli strumenti e le informazioni necessarie per dare modo a inserzionisti ed editori l’effettuazione di verifiche indipendenti dei messaggi pubblicitari che vengono ospitati dalla stessa:
  • consentire agli utenti commerciali di promuovere la loro offerta e concludere contratti con clienti al di fuori della piattaforma

A questi obblighi si vanno poi ad aggiungere alcuni divieti, ovvero:

  • riservare ai propri servizi e prodotti un trattamento favorevole in termini di classificazione rispetto a quelli analoghi proposti da terzi sulla loro piattaforma (come è accaduto nel caso di Google Shopping, solo per fare un esempio);
  • porre ostacoli ai consumatori intenzionati a mettersi in contatto con le imprese al di fuori della stessa;
  • impedire agli utenti di disinstallare software o applicazioni preinstallati nel caso in cui lo ritengano opportuno;
  • tracciare per motivi pubblicitari gli utenti finali al di fuori dei servizi essenziali della piattaforma, senza che i diretti interessati abbiano fornito il loro esplicito consenso.

Le sanzioni previste contro i gatekeeper

Le pratiche messe dai gatekeeper per preservare la propria posizione sono considerate un danno non solo nei confronti dei consumatori, ma anche in termini di concorrenza. In tal modo, ai danni per la convenienza dei servizi proposti vanno ad aggiungersi quelli in termini di mancata innovazione e minor qualità degli stessi. Per impedire il protrarsi di un sistema chiuso, ad esempio quello di cui si è fatto promotore Apple, saranno applicate le seguenti sanzioni:

  1. ammende sino al 10% del fatturato mondiale totale annuo dell’impresa di cui sia accertata la violazione, che può raddoppiare nel caso in cui la condotta sanzionata venga ripetuta;
  2. penalità di mora sino al 5% del fatturato medio giornaliero;
  3. misure correttive ove le violazioni degli obblighi siano sistematiche, le quali dovranno essere proporzionate al reato commesso. Ove poi si rende necessario come opzione di ultima istanza, le misure correttive potranno essere anche di carattere non finanziario, ad esempio sotto forma di rimedi comportamentali e strutturali, a partire dall’obbligo di vendere un’attività o parti di essa.

L’importanza del Digital Markets Act

L’importanza del Digital Markets Act è da mettere in relazione proprio alle tante polemiche che ormai da tempo hanno come obiettivo i comportamenti delle grandi aziende tecnologiche. Queste imprese, infatti, non sembrano disposte a rinunciare alla rendita di posizione affidata loro dalla possibilità di mettere sulla bilancia un peso assolutamente irraggiungibile per la concorrenza.

Il problema che si è andato affermando con sempre maggior chiarezza, però, è che queste posizioni dominanti provocano danni sia ai consumatori, in termini convenienza e qualità del servizio, sia alle imprese europee che intendono porre la propria candidatura negli stessi ambito commerciali e crescere in base al merito.

Il tema si è andato aggravando anche a causa del fatto che molto spesso le Big Tech trovano l’appoggio da parte del governo statunitense. Basta in effetti ricordare quanto dichiarato da Donald Trump nel giugno del 2019, quando l’allora inquilino della Casa Bianca tuonò contro l’Unione Europea, responsabile secondo lui di “fare soldi facili” con le aziende USA, elevando sanzioni a loro danno.

Un’accusa la quale potrebbe tornare ad echeggiare soprattutto in un momento in cui Francia e Germania puntano il dito contro gli Stati Uniti per la questione relativa alla fornitura di gas in sostituzione di quello russo. Secondo i governi di Berlino e Parigi, infatti, Washington praticherebbe prezzi quattro volte più alti rispetto a quelli applicati alle imprese statunitensi, regalando in tal modo un indebito vantaggio nei confronti di quelle europee. Non resta quindi che attendere le reazioni statunitensi al Digital Markets Act per capire cosa potrebbe accadere ora.

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