Ben 43 aziende hanno denunciato la violazione del Digital Markets Act da parte di Google Shopping, il motore di ricerca che Big G dedica espressamente ai prodotti. Nel gruppo si fanno notare vere e proprie potenze come la svedese Price Runner, la britannica Kelkoo, la francese LeGuide group e la tedesca Idealo, a rendere meglio l’idea del composito fronte formatosi nell’occasione.

I sottoscrittori della denuncia hanno deciso di avanzare una richiesta ben precisa ai regolatori antitrust dell’Unione Europea: utilizzare le nuove regole sui mercati digitali al fine di garantire che Alphabet operi in assoluta conformità a quanto deciso dalla Commissione europea nel 2017 per quanto concerne il servizio di shopping comparativo. Se Google Shopping ha adottato alcuni accorgimenti in tal senso, i ricorrenti affermano che si tratterebbe di uno sforzo largamente insufficiente nell’ottica di riuscire finalmente a garantire una giusta concorrenza in questa particolare nicchia di mercato.

Occorre anche sottolineare come non si tratti assolutamente di un fulmine a ciel sereno, se solo si pensa che cinque anni fa era stata la Commissione europea a multare Google per ben 2,4 miliardi di euro, ingiungendo inoltre all’azienda statunitense di dare un taglio secco alle pratiche commerciali tese con tutta evidenza a favorire il suo servizio di comparazione dei prodotti rispetto a quelli analoghi della concorrenza. Decisione presa dall’Antitrust dell’eurozona che sembra ora stagliarsi alla stregua di un convitato di pietra sullo sfondo.

Secondo le 43 imprese ricorrenti gli impegni di Google sarebbero insufficienti

Per cercare di mettere una toppa ad una situazione che rischia ormai di sfuggirle di mano, Google ha preso l’impegno di trattare il proprio servizio di shopping alla stessa maniera di quelli messi in campo dalla concorrenza quando fanno offerte nell’asta per le ads (indicate anche come adv, abbreviazione di advertising) nella shopping box che compare nella parte superiore delle pagine di ricerca del colosso di Mountain View.

Assicurazioni che, però, non sono bastate alle 43 aziende ricorrenti, le quali hanno quindi deciso di spedire a Margrethe Vestager, la commissaria danese che si occupa di contrastare ogni possibile azione tesa a formare un monopolio sul mercato continentale, una lettera in cui indicano senza mezzi termini l’insufficienza delle misure prese per riequilibrare la situazione delle aste pubblicitarie.

La richiesta espressa è molto precisa: “La Commissione deve riaprire lo spazio sulle pagine dei risultati di ricerca generali per i fornitori più rilevanti, rimuovendo le Shopping Units di Google che non consentono alcuna concorrenza, ma portano a prezzi più alti e minore scelta per i consumatori e a un ingiusto trasferimento dei margini di profitto a danno dei merchant e dai servizi di shopping comparativo concorrenti di Google”. A riportare questo stralcio della lettera è stata la Reuters, che ha potuto visionarla.

In pratica, stando al pensiero espresso al suo interno, il meccanismo disposto da Google va a violare il Digital Markets Act (DMA) in quanto il funzionamento delle Shopping Units è in grado di aggirare il divieto di self-preferencing previsto dal provvedimento. Il DMA è un regolamento varato all’interno dell’eurozona nel preciso intento di rendere più equa l’economia digitale tenendo di conseguenza a freno il potere dei giganti tecnologici, abituati a spadroneggiare al suo interno. Il regolamento sta ormai per entrare in vigore, il prossimo primo novembre, e diventerà applicabile a partire dal 2 maggio del prossimo anno. Proprio per questo sarebbe arrivato il momento di agire per fare in modo che la violazione sia oggetto di sanzioni.

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Google Shopping, cosa aveva deciso la Corte dell’Unione Europea

Nel mese di novembre del 2021 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato l’ammenda di 2,42 miliardi di euro che era stata inflitta dalla Commissione europea nel 2017 a Google per abuso di posizione dominante nel suo servizio di comparazione dei prezzi, respingendo quindi il ricorso di Big G contro la decisione. Nel rigettare il ricorso, il Tribunale UE ha spiegato che il “pregiudizio degli algoritmi di classificazione dei risultati di ricerca”, ha dato modo a Google di non basare sul merito la concorrenza ai servizi rivali, dando luogo di conseguenza ad una vera e propria rendita di posizione.

Non è del resto il primo caso di frizione tra le due parti, se si considera che due mesi prima lo stesso Tribunale dell’Unione Europea ha dato ragione alla Commissione Europea, la quale aveva multato Alphabet per la violazione delle regole di concorrenza leale. In questo caso l’oggetto del contendere erano le restrizioni illegali ai produttori di dispositivi Android, anche in questo caso con il preciso obiettivo di consolidare la posizione dominante del suo motore di ricerca. La multa in questo caso ammonta a 4,125 miliardi di euro ed è la più salata mai inflitta da un’autorità di vigilanza del vecchio continente. La sentenza ha posto la parola fine ad una vicenda che era era iniziata nel 2015, con una indagine condotta proprio da Margrethe Vestager.

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