Negli Stati Uniti, a differenza del nostro Paese, il conflitto di interessi è considerato una cosa molto seria. Chi detiene posizioni di rilievo all’interno delle amministrazioni, quindi, non deve essere sospettato di legiferare su una determinata materia perseguendo il proprio interesse particolare. Si tratta di un principio chiave in una economia la quale si dichiara fondata sulla concorrenza tra i vari attori.

A ribadirlo ancora una volta è l’avviso che è stato pubblicato dall’Office of Government Ethics (OGE) degli Stati Uniti, all’interno del quale si afferma che l’esenzione de minimis, che permette ai proprietari di titoli per somme inferiori ad una determinata soglia di legiferare sulle politiche ad essi collegate, non può essere applicata ai detentori di criptovalute e stablecoin. In pratica, anche chi possiede asset virtuali per importi irrisori deve astenersi dalla partecipazione al processo legislativo, a meno che nel frattempo non provveda a dismettere quanto posseduto.

L’avviso in questione riguarda tutti i dipendenti del governo federale, un novero in cui oltre al Presidente va a includere chi lavora per la Federal Reserve e all’interno del Dipartimento del Tesoro. La sola esenzione che è stata accettata dal cane da guardia dell’etica è quella relativa all’ipotesi che i responsabili politici possono detenere sino a 50mila dollari in fondi comuni impegnati negli investimenti in società tecnologiche collegate alla blockchain. In questo caso, infatti, si entra nel terreno tipico dei fondi diversificati.

Il conflitto d’interessi negli Stati Uniti è una cosa molto seria

Quanto deciso dall’Office of Government Ethics in relazione alle criptovalute riporta al centro dell’attenzione il tema del conflitto di interessi, uscito abbastanza ammaccato dal quadriennio che ha visto Donald Trump alla Casa Bianca. L’ex presidente, infatti, si trova a capo di un agglomerato che comprende ben 515 aziende, le cui attività spaziano in una lunga serie di campi, tra cui l’immobiliare, il commerciale, l’alberghiero, la moda, i campi da golf e l’agroalimentare.

Nella sua amministrazione, inoltre, erano presenti molti uomini d’affari e personalità caratterizzate da grandi patrimoni personali. Si è calcolato che quanto detenuto da queste persone equivaleva a quanto posseduto dal terzo di popolazione meno ricca dell’intero Paese.

Era quindi del tutto lecito pensare che in un contesto del genere potessero verificarsi situazioni anomale. Occorre infatti specificare che negli Stati Uniti, tutti i membri del governo e del Congresso, ad eccezione del presidente e del vicepresidente, sono sottoposti a regole molto severe sul conflitto d’interessi. Le persone che ne sono vincolate hanno l’obbligo di vendere tutti i loro valori patrimoniali e cederli a un amministratore indipendente (blind trust).

La decisione dell’OGE, peraltro, rischia di aprire un nuovo fronte. Il suo avviso è infatti rivolto per ora solo ai membri del governo federale. In tema di criptovalute, però, ci sono membri del Congresso che hanno dispiegato grande attivismo sul tema, a partire da Cynthia Lummis, la senatrice del Wyoming la quale ha proposto di recente una legge tesa a regolamentare il settore crypto. La stessa Lummis, però, ha anche ammesso di detenere Bitcoin e potrebbe essere di conseguenza sospettata di perseguire il suo interesse con il progetto presentato al Congresso. Qualcuno potrebbe presto chiedersi perché a lei non sono applicate le stesse regole previste per i dipendenti del governo federale.

Il nuovo approccio degli Stati Uniti alle criptovalute

Se rischia di provocare polemiche, l’avviso dell’OGE rappresenta comunque la conferma del nuovo atteggiamento delle istituzioni statunitensi nei confronti dell’innovazione finanziaria. Se nel corso del quadriennio in cui Trump ha alloggiato alla Casa Bianca l’atmosfera nei confronti di Bitcoin e Altcoin non è stata amichevole, nel corso degli ultimi mesi la situazione sembra essere mutata del tutto.

A segnare una netta discontinuità con il passato è stato l’atto esecutivo con cui Joe Biden ha proclamato il valore strategico degli asset virtuali, affermando inoltre di voler favorire il varo del dollaro digitale. Una discontinuità ancora più notevole alla luce del fatto che proprio i democratici si erano mostrati gli avversati più accaniti delle criptovalute, in precedenza.

Se è vero che per quanto riguarda il dollaro digitale tutto è rimasto per ora sulla carta, le varie amministrazioni statali hanno invece dato segnali di notevole dinamismo, iniziando a produrre un quadro normativo teso non solo a favorire le aziende operanti nel settore, ma anche a porre paletti ben precisi per tenere in sicurezza i consumatori. Un attivismo il quale ha riguardato anche le stablecoin, per le quali si inizia a ragionare sul modo migliore per tenere insieme esigenze le quali, in effetti, potrebbero entrare in rotta di collisione.

Al tempo stesso occorre sottolineare come nel corpo della società statunitense permanga una certa diffidenza nei confronti delle criptovalute, testimoniata all’inizio del mese di giugno dalla lettera inviata da 26 esperti informatici al Congresso. All’interno della missiva si esortavano i parlamentari a resistere nei confronti di una narrazione idilliaca nei confronti degli asset digitali la quale era assolutamente inadeguata per una rappresentazione della realtà collegata ai crypto-asset.

In questa situazione l’iniziativa dell’OGE ha perlomeno il merito di far capire che occorre cercare di respingere ogni possibile tentativo di piegare i processi legislativi agli interessi di circoli ristretti o singole personalità. Una impostazione tale da riportare in auge un concetto come quello del conflitto d’interessi che, al contrario, in altri Paesi continua ad essere sottovalutato o espressamente ignorato.

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