Il Senato dello Stato di New York ha approvato il disegno di legge che impone una moratoria di due anni sul mining di Bitcoin all’interno del territorio statale. Un provvedimento il quale era già stato approvato, con 36 voti favorevoli e 27 contrari, dall’Assemblea, la camera bassa, nel corso del mese passato. Ora la palla passa alla governatrice Kathy Hochul, la quale ha 10 giorni di tempo per decidere se firmare o porre il veto alla sua emanazione.

Il disegno di legge prevede una moratoria di due anni sul rilascio di nuovi permessi a favore di chi conduce il mining di criptovalute utilizzando combustibili a base di carbonio. Anche in caso una licenza fosse concessa, però, l’attività sarebbe oggetto di uno studio di impatto ambientale, nell’intento di riuscire a conseguire gli obiettivi climatici i quali sono stati indicati all’interno di uno statuto risalente al 2019. Il divieto non va comunque ad intaccare i diritti acquisiti, esentando quindi le attività minerarie già in corso o quelle che si trovano nella fase di rinnovo del permesso.

Una precisazione la quale, però, non ha fermato la protesta delle aziende operanti nel settore, le quali temono trattarsi solo di un antipasto, nel quadro di una azione di governo destinata a espandersi nei prossimi anni, rimettendo tutto in discussione.

L’attrattività di New York per il mining crypto

Il territorio di New York è estremamente attraente per le aziende le quali fanno mining crypto, che non a caso sono arrivate in gran numero nel corso degli ultimi anni. Il motivo è da individuare nel fatto che al suo interno sono dislocate fonti di energia idroelettrica a basso costo, ideali quindi per ottimizzare e far fruttare le attività di estrazione dei blocchi necessari al conio dei token.

Non stupisce eccessivamente, di conseguenza, che le preoccupazioni collegate con l’impatto ambientale delle mining farm abbiano portato al varo di un disegno di legge di questo genere. Anche perché all’interno del governo e delle istituzioni federali continua ad essere vivo il dibattito in questione. A testimoniarlo è ad esempio  la recente presentazione da parte della senatrice democratica di New York Kirsten Gillibrand e della sua collega repubblicana del Wyoming Cynthia Lummis, di un progetto di legge il quale prevede l’inclusione di un’analisi dell’impatto ambientale del consumo di energia derivante dal mining di criptovalute per il rilascio di permessi nel settore.

L’approvazione del disegno di legge, però, ha scatenato le recriminazioni delle aziende interessate. Un vero e proprio fuoco di sbarramento il quale, però, sarebbe assolutamente esagerato e figlio di un vero e proprio fraintendimento. A sostenerlo è in particolare Anna Kelles, appartenente all’Assemblea statale e proponente del provvedimento in questione. Andiamo a vedere i motivi della sua affermazione.

Non si tratta di un divieto

“È importante capire che non è un divieto”: queste sono le parole con cui la Kelles ha accolto la notizia relativa alle proteste delle mining farm nei confronti della legge che è ora sul tavolo di Kathy Hochul. Secondo lei, nelle tre pagine che compongono il provvedimento ci sarebbe soltanto un’opera di contrasto nei confronti di quelle attività minerarie fondate sul Proof-of-Work, il meccanismo di consenso su cui si basa la blockchain di Bitcoin.

Il meccanismo in questione è in effetti molto più inquinante rispetto al Proof-of-Stake, tanto da aver spinto Ethereum a metterne in programma la sostituzione nel corso dei prossimi mesi, proprio per rispondere alle preoccupazioni ambientali e usufruire dei vantaggi che è in grado di garantire.

È proprio alle aziende che lo utilizzano mixandolo all’impiego di fonti di energia fossili, quindi altamente inquinanti, che si rivolge il disegno di legge. In particolare, secondo la Kelles sarebbe stata la decisione adottata da Atlas Holdings, di procedere all’acquisizione di un impianto di generazione di energia a carbone abbandonato nella regione dei Finger Lakes di New York, inizialmente convertito in un impianto di gas naturale e poi in un impianto di estrazione di BTC, a spingerla alla presentazione del provvedimento.

Nonostante le precisazioni, però, molte aziende del settore hanno deciso di organizzare una risposta tipica del sistema statunitense, ovvero sotto forma di lobbying. La Blockchain Association e la Blockchain Security Industry Coalition hanno infatti spedito i loro rappresentanti ad Albany, la capitale dello Stato, per provare a cambiare una corrente per ora avversa.

Secondo Peter Thiel, di Marathon Digital, la legge va intesa alla stregua di un avvertimento. In pratica, secondo la sua interpretazione, servirebbe a tenere lontane dallo Stato le imprese interessate a impiantare attività minerarie. Secondo lui nessuna azienda sarà incentivata a investire in costose attrezzature minerarie, almeno per i due anni di moratoria previsti. Sembra però un’eccezione del tutto priva di senso. Perché chi ha già una licenza dovrebbe preoccuparsi del fatto che ad altri non saranno concesse per fargli concorrenza?

Tutto verte intorno al Proof-of-Work, o quasi

In definitiva, quello che emerge dalla vicenda in questione è l’ormai evidente problema ambientale proposto dall’algoritmo di consenso Proof-of-Work su cui si basa il mining di Bitcoin. Estremamente energivoro, diventa un vero problema per l’ecosistema ove il suo consumo eccessivo si vada ad abbinare all’utilizzo di fonti fossili, invece che rinnovabili.

Non a caso la parte più avvertita del mondo crypto sta cercando di smontare questo perverso connubio, puntando sull’utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili. Un orientamento che sta emergendo anche in seno al Bitcoin Mining Council, l’associazione nata su impulso di Elon Musk, per trovare un giusto equilibrio tra esigenze industriali e ambientali.

L’opposizione alla moratoria newyorchese, peraltro, sembra non tenere conto del sempre più evidente fastidio da parte della politica nei confronti di un’attività reputata estremamente pericolosa in un momento in cui il concetto di sostenibilità è ormai entrato a far parte della vita quotidiana. Un fastidio testimoniato, ad esempio, dalla vera e propria crociata intrapresa dalla Svezia e dai Paesi nordici contro il mining PoW.

Il pericolo, in una situazione così contrastata, è che alla fine a ritrovarsi sotto attacco non sia il mining di Bitcoin, bensì l’intero sistema crypto. Un pericolo il quale è tornato ad affacciarsi nel corso delle ultime settimane, sull’onda dei timori generati dal crollo di Terra (LUNA), la stablecoin che ha bruciato decine di miliardi di dollari con la sua fragorosa caduta.

Collaborare con le autorità e mostrare un atteggiamento costruttivo potrebbe in effetti evitare una deriva di questo genere. Resta da capire se New York resterà un caso limitato o se, al contrario, la battaglia contro il Proof-of-Work stia montando a livello globale.

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