Quello che sta per terminare è stato un anno estremamente negativo per le criptovalute. Il cosiddetto cryptowinter non solo è si riverberato pesantemente sulle quotazioni dei vari token, ma ha anche posto le basi per una lunga teoria di fallimenti, una catena che ha indotto alla depressione una comunità la quale non si attendeva una crisi di tale portata.

Basta in effetti guardare l’evoluzione dei prezzi sul mercato, per capire cosa sia accaduto nel corso del 2022: Bitcoin ha infatti visto crollare il suo valore dai 46.311 dollari che vantava il primo giorno di gennaio agli attuali 16.662, trainando al ribasso l’intero settore, quasi.

Proprio alla luce di quanto accaduto molti investitori, nelle ore che ci separano dall’avvento del nuovo anno, staranno sicuramente facendo una salutare pausa di riflessione, ponendosi una domanda ben precisa: cosa accadrà alle criptovalute nel corso del nuovo anno? Proviamo a dare una risposta ad un quesito estremamente importante per chi ha investito o vuole investire il suo denaro in asset virtuali.

Criptovalute: crisi definitiva o di assestamento?

Come abbiamo già ricordato, l’anno che si chiude è stato caratterizzato da una costante e pesantissima caduta delle quotazioni. Se abbiamo ricordato quanto accaduto al Bitcoin, non è andata molto meglio alle maggiori Altcoin, se si pensa che, ad esempio, Ethereum ha iniziato il 2022 a quota 3.683 dollari, contro i 1.195 di oggi. Mentre BNB, al momento al quinto posto della classifica di capitalizzazione del settore è passato a sua volta da 512 a 243 dollari.

Potremmo naturalmente proseguire elencando quanto accaduto ad altri progetti che pure sembravano in grande spolvero, ma il senso è abbastanza chiaro: il 2022 è stato un anno molto negativo per il settore dell’innovazione finanziaria. A renderlo tale, oltre all’evoluzione dei prezzi, anche una notevole caduta in termini di popolarità presso il grande pubblico.

Un crollo derivante dal fallimento di molti attori di prima grandezza del settore, a partire da Terra (LUNA) e dall’exchange FTX e, soprattutto, dalle modalità con cui sono avvenuti i crac. Il fondatore di Terra, Do Kwon, è ricercato dall’Interpol, mentre Sam Bankman-Fried, artefice delle fortune e della successiva caduta della piattaforma di scambio, si appresta ad affrontare una vicenda giudiziaria la quale si preannuncia clamorosa. Basta questo per capire perché la reputazione del settore sia in questo momento ai minimi storici.

Naturalmente, proprio in conseguenza di quanto sta accadendo, molti osservatori e investitori si stanno ponendo un altro quesito di non poco conto: per il denaro virtuale si tratta di una semplice crisi passeggera, anche se prolungata, o della crisi definitiva? Un quesito in effetti intrigante, ma forse mal posto.

Le criptovalute sono qui per restare, ma…

Le criptovalute sono qui per restare: quante volte gli evangelisti dell’innovazione finanziaria hanno ripetuto questa affermazione, facendone in definitiva un mantra? Un’affermazione netta la quale viene però spesso contestata da alcune personalità che hanno sempre guardato con evidente fastidio alla loro affermazione.

Basta in effetti leggere alcune dichiarazioni di personalità legate alla finanza tradizionale, per capire come Bitcoin e Altcoin siano sempre state vissute come una sorta di intruso. Il capofila di questo orientamento può essere senz’altro considerato Warren Buffett, l’oracolo di Omaha che non ha mai nascosto la sua avversione per l’innovazione finanziaria. Senza contare le accuse mosse ripetutamente al Bitcoin, indicato come una lavanderia di soldi sporchi.

Tesi spesso fondate su una sostanziale ignoranza della tecnologia che è alla base delle criptovalute, la blockchain, ma che sono tornate a riecheggiare nel corso degli ultimi mesi, soprattutto dopo le clamorose vicende che hanno condotto al crollo di Terra (LUNA), con relativo effetto domino, e di FTX.

Se i comportamenti di Do Kwon e Sam Bankman-Fried sono da considerare assolutamente riprovevoli, però, occorre ricordare che, in fondo, sono stati semplicemente mutuati da truffe che hanno costellato nel corso dei decenni anche la finanza tradizionale. Lo schema Ponzi è in auge ormai dai primi decenni del passato secolo e i truffatori digitali non hanno fatto altro che applicarlo ad un settore caratterizzato da grande liquidità.

La grande crescita di BTC e altri progetti crypto è praticamente avvenuta con le stesse modalità che hanno distinto la bolla delle dot.com di inizio millennio o dei mutui Subprime, qualche anno dopo. Per capire meglio la similitudine con la seconda crisi, basta ricordare come alcuni osservatori abbiano parlato nel caso di FTX di “momento Lehman”, con chiaro riferimento al crac della banca d’affari all’apice della crisi del 2008.

Molto più preziosa per poter capire cosa potrebbe accadere alle criptovalute nell’immediato futuro è però la crisi delle startup tecnologiche che si verificò nel periodo a cavallo del nuovo millennio. In quella occasione, infatti, molte aziende sopravvalutate sparirono letteralmente dalla scena, lasciando campo libero a quelle più dotate, a partire da Amazon.

Proprio ciò che potrebbe accadere ora alle criptovalute. La crisi in atto potrebbe infatti chiarire il quadro e condurre alla sostanziale estinzione di migliaia di progetti che sono sorti nel corso degli anni con il semplice intento di ripercorrere la parabola di Bitcoin, senza però averne le caratteristiche individuate anche dai grandi gruppi finanziari.

Nel nuovo anno terminerà il crypto winter?

Quando si parla di crypto winter, si tende a identificarlo con i primi mesi del 2022. Alcuni osservatori, però, non sono d’accordo con questa ricostruzione e indicano nel 19 maggio del 2021 l’inizio ufficiale della crisi. Proprio quel giorno, infatti, BTC cedette il 28% del suo valore nel corso di una sola giornata di contrattazioni.

A scatenare il panico fu in particolare la dichiarazione da parte della banca centrale cinese (PBoC), secondo la quale le criptovalute non potevano essere considerate un mezzo di pagamento. Una tesi su cui si potrebbe discutere a lungo, ma che in quel preciso momento affossò letteralmente i mercati.

Possiamo quindi dire che la crisi dell’innovazione finanziaria perdura ormai da un anno e mezzo. Un lasso di tempo molto ampio il quale è stato caratterizzato da un generale deprezzamento del settore e da una lunga serie di crolli di aziende che pure sembravano ormai sulla cresta dell’onda.

Possiamo quindi dire che il quadro si sta chiarendo, come accaduto durante la crisi delle dot.com, lasciando sul campo le realtà attrezzate per reggere alla sfida dei mercati. Detto in altre parole, le probabilità che si verifichino nuovi scandali come quello FTX stanno notevolmente diminuendo, anche grazie alla decisione di alcuni colossi del settore, a partire da Binance, di istituire un fondo per aiutare aziende in difficoltà, ma in possesso delle caratteristiche giuste per restare attive e contribuire alla crescita del comparto.

Oltre al chiarimento progressivo del quadro, c’è però un altro fattore che sembra destinato a influire positivamente sui prezzi delle criptovalute. Stiamo parlando del fatto che molti grandi fondi hanno deciso di acquistare Bitcoin e altri token ritenuti in grado di remunerare l’investimento.

Ad essi occorre aggiungere investitori singoli estremamente facoltosi. Secondo un sondaggio condotto da Forbes alla metà dell’anno in corso, infatti, quasi il 30% delle 65 persone più ricche del mondo ha dichiarato di aver investito direttamente o indirettamente in criptovalute. In pratica i miliardari investono in token più delle persone non propriamente facoltose, se si considera che secondo un altro sondaggio condotto da Pew Research risalente alla fine del 2021, la percentuale degli adulti statunitensi che avevano fatto analoga operazione si attestava intorno al 16%. Un dato salito di quattro punti nel marzo del 2022, stando ai risultati di un’altra indagine statistica condotta da NBC News.

Possiamo quindi dire che molti grandi attori della finanza globale hanno investito i propri soldi in asset virtuali. Sembra difficile che possano ignorare l’andamento dei mercati e rassegnarsi a perdere gran parte del proprio investimento, senza cercare di raddrizzare le cose, almeno nel medio periodo. Soprattutto, sembra difficile pensare che possa verificarsi quanto affermato da David Hoffman, uno dei più grandi costruttori immobiliari della Florida, il quale ha espresso la sua paura di potersi svegliare un giorno e constatare che le criptovalute sono scomparse.

Non è il primo crypto winter e non sarà l’ultimo

Occorre a questo punto ricordare una cosa che molti, travolti dagli eventi, sembrano dimenticare: non è la prima volta che un inverno delle criptovalute si abbatte sul mercato. L’ultimo evento di questo tenore, in particolare, è durato dal gennaio del 2018 sino al dicembre di due anni dopo. In quel frangente, ad esempio, Bitcoin lasciò sul terreno più della metà della sua capitalizzazione di mercato, mentre altre criptovalute di spicco, a partire da Ethereum e Litecoin, subirono vistosi dimagrimenti.

Subito dopo, anche grazie al dimezzamento delle ricompense spettanti ai miner di BTC, iniziò una grande corsa nella quale furono coinvolti tutti i token che erano ritenuti validi dagli investitori. La domanda che ci si dovrebbe porre, quindi, non è se le criptovalute siano finite, bensì quando il mercato tornerà a correre. Sembra in effetti difficile poter pensare che all’improvviso il denaro virtuale, sempre più utilizzato nei pagamenti, smetta di circolare del tutto.

Proprio alla luce di quanto accaduto in vista dell’ultimo halving della creazione attribuita a Satoshi Nakamoto, quando l’attesa per l’evento fece parlare a lungo di denaro virtuale anche persone che della finanza decentralizzata neanche conoscevano l’esistenza, alcuni analisti già da alcune settimane hanno iniziato a vaticinare una primavera per il settore già a partire dal 2023.

A favorirla dovrebbe essere proprio la crescita di interesse intorno al prossimo halving di BTC, previsto per il 2024, oltre che il logico corollario ad esso. Se attualmente il premio spettante ai minatori è di 6,25 Bitcoin per ogni blocco estratto, con il prossimo dimezzamento scenderà a 3,25.

Un livello di questo genere spingerà molte mining farm fuori dal mercato, riducendo il ritmo di estrazione dei blocchi e l’afflusso di nuovi token sul mercato. È del tutto lecito attendersi, quindi, che a giovarsi di questo trend sia il prezzo dei vari coin, almeno quelli più noti.

Si va verso una stretta legislativa sulle criptovalute private

Altro evento atteso dagli analisti nel corso del 2023 è poi una notevole stretta per quanto riguarda la legislazione cui devono rispondere le aziende del settore. Proprio quanto accaduto con Terra (LUNA) e FTX, infatti, ha riportato in auge la necessità di dare una ferrea regolamentazione ad un settore che a lungo si è mosso in un vuoto legislativo.

Considerato come le zone d’ombra e i buchi nelle normative hanno permesso le scorrerie di Do Kwon e Sam Bankman-Fried (e prima di loro di altri predoni), ora la politica sta cercando di correre ai ripari per evitare di dover buttare il bambino con l’acqua sporca.

Se l’Unione Europea si è già dotata di un nuovo quadro al riguardo, il Markets in Crypto Assets (MiCA), cui si potrebbe aggiungere addirittura il bando verso l’algoritmo di consenso Proof-of-Work sotto la spinta del blocco nordico, anche negli Stati Uniti sta crescendo in seno all’opinione pubblica una corrente che chiede di rinchiudere l’innovazione finanziaria in paletti ben precisi.

Resta invece da capire cosa potrebbe accadere alle stablecoin, la cui pericolosità è emersa in particolare con la vicenda di Terra. Soprattutto quelle algoritmiche sono ormai reputate molto negativamente, proprio perché il loro ancoraggio non dipende dalle riserve garantite, bensì da un meccanismo il quale prevede l’acquisto o la vendita quando il prezzo dell’asset si allontana dalla parità.

In molti Paesi è già iniziata la discussione nei loro confronti e non mancano le voci di chi vorrebbe eliminarle del tutto, algoritmiche o meno, proprio alla luce di quanto emerso su quelle che dovrebbero essere garantite dalle riserve. Nel caso di Tether è stato infatti appurato come più di una volta il denaro virtuale emesso non avesse denaro liquido o altri beni a garanzia.

Se alcune aziende del settore hanno mostrato fastidio per ipotesi di strette più o meno forti dal punto di vista legislativo, gli operatori più accorti hanno dal canto loro sposato questo orientamento, capendo che potrebbe non solo permettere di tenere gli avventurieri alla larga, ma anche permettere un recupero in termini di immagine.

Se al momento chi era indeciso sul denaro virtuale si è convinto a tenersi alla larga dall’investirci sopra, una volta tornato il sereno si potrebbe tornare a pensare a quell’adozione di massa delle criptovalute che pure sembrava ormai avviatissima qualche mese fa. Soprattutto alla luce del sempre più evidente fastidio delle istituzioni per il contante.

Nuove CBDC in arrivo

Sinora abbiamo parlato delle criptovalute private, per ovvi motivi. Per capire come il settore non sia certo destinato alla fine occorre però ricordare come esso sia composto anche dalle Central Bank Digital Currency (CBDC), ovvero dalle criptovalute di Stato.

Se lo yuan digitale è il più famoso token centralizzato, ce ne sono molti altri che sono ormai prossimi allo sbarco sul mercato. Se ne parla per esempio con grande insistenza in Russia, ove un rublo digitale potrebbe permettere al governo di Mosca di attutire in maniera sensibile le conseguenze delle sanzioni occidentali dopo lo scoppio del conflitto con l’Ucraina.

Anche negli Stati Uniti, pur con notevole ritardo, è iniziata la discussione su un dollaro virtuale, che però non potrà esordire, anche in caso di approvazione da parte delle autorità monetarie del Paese, prima di qualche anno.

Al momento, i Paesi che hanno già proceduto al lancio della loro CBDC sono la Nigeria, la Giamaica, le Bahamas e otto caraibici. Tra queste crypto di Stato spicca in particolare la eNaira nigeriana. La sua importanza deriva dal fatto che nel grande Paese africano gli adulti che utilizzano BTC e Altcoin ha già sorpassato la metà del totale. Ennesima conferma che le criptovalute, in forma privata o pubblica sono una realtà concreta.

L’attesa di tutti è comunque per lo yuan digitale, che dovrebbe esordire ufficialmente proprio nel 2023, dopo un lungo periodo di test. Con la sua comparsa secondo non pochi analisti il potere imperiale del dollaro potrebbe subire un brusco ridimensionamento, con ricadute geopolitiche di non poco conto.

Quali token potrebbero crescere, nel 2023?

L’ultima domanda che ci si potrebbe porre, in vista del nuovo anno, soprattutto da parte di chi pensa sia arrivato il momento di investire in asset digitali, è la seguente: quali sono i token che potrebbero crescere nel 2023 e dare soddisfazioni concrete? Nella lista gli esperti includono i seguenti progetti emergenti:

  • Dash 2 Trade (D2T), innovativo ecosistema di analisi crypto il quale si incarica di fornire ai suoi utenti una serie di strumenti tesi a favorire trader e investitori. Grazie alla piattaforma i processi di investimento dovrebbero essere non solo più semplici, ma anche in grado di remunerare realmente l’investimento effettuato;
  • Tamadoge (TAMA), ennesimo memecoin teso a sfruttare il successo di DOGE. In questo caso, però, il progetto è fondato su un sistema play-to-earn, in cui chi gioca viene premiato per il semplice fatto di farlo. Il gioco prevede l’allevamento di animali denominati appunto Tamadoge e destinati, una volta cresciuti, a combattere contro i loro simili;
  • Lucky Block (LBLOCK), lanciato nel gennaio di quest’anno sotto forma di piattaforma per il crypto-gaming e basato sulla Binance Smart Chain (BSC). La sua particolarità è da individuare nel fatto che propone la prima lotteria decentralizzata, nella quale i partecipanti possono guadagnare premi in modo sicuro e trasparente.

Se quelli che abbiamo elencato sembrano essere i progetti più promettenti in vista del nuovo anno, per quanto riguarda i veterani del settore le previsioni possono essere molto più complicate, proprio a causa di una situazione economica che continua ad essere molto problematica. In questo ambito, i token che potrebbero crescere sono secondo noi i seguenti:

  1. Bitcoin (BTC), proprio in considerazione del fatto che al momento la sua quotazione è lontanissima dai massimi storici. A favorirne una crescita potrebbe essere proprio l’avvicinarsi del prossimo halving, destinato a riportare la regina delle criptovalute all’attenzione generale;
  2. Ripple (XRP), le cui fortune potrebbero essere alimentate dalla conclusione della vertenza con la Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti. Una conclusione che l’autorità di vigilanza dei mercati a stelle e strisce sta cercando di ritardare in quanto la vedrebbe sconfitta;
  3. Algorand (ALGO) ecosistema Made in Italy che ha fatto la sua comparsa nel 2019 calamitando grande attenzione soprattutto per la sua propensione green. Il consumo della sua blockchain, infatti, è bassissimo, senza alcuna ricaduta negativa sull’efficienza, considerato come la rete sia in grado di processare 40mila transazioni al secondo. Grazie a queste caratteristiche il token si propone di assumere un ruolo sempre più forte negli scambi commerciali, nelle transazioni che hanno luogo nella DeFi e negli smart contract.

Non resta quindi che vedere cosa realmente accadrà nel 2023, per capire se le nostre previsioni si saranno rivelate realistiche o meno.

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