Una decisione che cambia le carte in tavola e riaccende i riflettori su uno dei dibattiti più accesi del settore tecnologico degli ultimi mesi, alcuni di voi potrebbero ricordare come, sul finire dello scorso anno, OpenAI avesse annunciato l’intenzione di diventare un’azienda a scopo di lucro; nelle ultime ore però, la casa madre di ChatGPT ha ufficialmente annunciato che abbandonerà il discusso piano di ristrutturazione che avrebbe portato alla creazione di questa tipologia di società, lasciando invece il controllo nelle mani dell’organizzazione no-profit originaria.
La conferma è arrivata direttamente da Sam Altman, CEO di OpenAI, attraverso un post ufficiale pubblicato sul sito web della società; una presa di posizione che arriva dopo mesi di polemiche, pressioni istituzionali, cause legali e una forte opposizione da parte della comunità accademica, nonché di ex dipendenti della stessa azienda.
OpenAI abbandona il piano per la trasformazione in società di capitali
Per comprendere la portata della notizia è importante ricordare il contesto: lo scorso settembre alcune indiscrezioni avevano anticipato l’intenzione di OpenAI di trasformare il proprio core business in una Public Benefit Corporation, ovvero una società a scopo di lucro ma con finalità dichiaratamente pubbliche, con l’obbiettivo di attrarre nuovi investitori e rendere più convenzionale la struttura societaria.
Il piano, tra le altre cose, avrebbe portato lo stesso Altman a ottenere per la prima volta una quota azionaria (si parlava del 7%), rompendo con la sua precedente posizione “altruista” di non possedere partecipazioni nella compagnia.
La ristrutturazione avrebbe inoltre eliminato il tetto ai rendimenti per gli investitori, un limite che OpenAI aveva inizialmente imposto per coerenza con la sua missione etica, rendendo l’azienda ben più appetibile per i grandi capitali; per rendere meglio l’idea, si parlava di un round di finanziamento da 40 miliardi di dollari per una valutazione complessiva di 300 miliardi. Il tutto però, avrebbe lasciato il consiglio no-profit con un ruolo marginale, privandolo del controllo operativo diretto.
Una riforma così profonda e per certi versi radicale non poteva che generare reazioni forti, non solo Elon Musk (co-fondatore di OpenAI e attualmente in causa con la stessa società) ha sollevato obiezioni pesanti parlando di “assenza di supervisione”, ma anche gruppi di giuristi, ricercatori IA, premi Nobel e professori universitari hanno espresso pubblicamente il proprio dissenso.
In particolare lo scorso aprile è stata inviata una lettera ai procuratori generali del Delaware e della California (stati in cui ha sede la struttura giuridica di OpenAI), con l’obbiettivo esplicito di fermare il processo di trasformazione; il timore era che l’azienda, a causa di una trazione puramente capitalistica, potesse generare rischi significativi in termini di governance e sicurezza soprattutto in prospettiva futura, considerando lo sviluppo di modelli di intelligenza artificiale sempre più avanzati (e potenzialmente super intelligenti).
Altman, dal canto suo, ha confermato che la decisione di mantenere il controllo al consiglio no-profit è arrivata proprio dopo aver ascoltato le preoccupazioni dei vari stakeholder civici, e dopo confronti diretti con gli uffici dei procuratori generali; una scelta che, per il momento, segna una battuta d’arresto nei piani di espansione più aggressivi.
L’organizzazione ha chiarito che rimarrà fedele alla propria forma originaria: “OpenAI è stata fondata come organizzazione no-profit, oggi è un’organizzazione no-profit che supervisiona e controlla le organizzazioni a scopo di lucro, e in futuro rimarrà un’organizzazione no-profit che supervisiona e controlla le organizzazioni a scopo di lucro“.
Tuttavia, è lecito domandarsi quanto questa configurazione rimarrà stabile nel lungo periodo, già in passato OpenAI ha mostrato flessibilità (o per alcuni ambiguità) nella gestione della sua missione etica e dei suoi assetti societari, e se è vero che il piano di ristrutturazione è stato accantonato, è altrettanto vero che l’azienda continuerà a collaborare con realtà commerciali e investitori esterni, un equilibrio che potrebbe tornare a scricchiolare in futuro.
Resta dunque aperta la questione su come OpenAI riuscirà a conciliare le esigenze di trasparenza e controllo con quelle del mercato, che spingono inevitabilmente verso modelli di crescita più scalabili e remunerativi; servirà del tempo per capire quale sarà l’effettivo impatto di questa scelta sull’evoluzione dell’azienda.
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