La dipendenza dai social media è un problema sentito da molti, soprattutto tra i più giovani. Una recente sentenza di un tribunale americano potrebbe però cambiare le carte in tavola, rendendo le grandi aziende tecnologiche responsabili di fronte alla legge.

La sentenza apre la strada alle cause legali degli adolescenti contro le aziende per la dipendenza da social media

Il giudice Carolyn Kuhl della Corte Superiore di Los Angeles ha infatti stabilito che le principali piattaforme social non possono invocare la sezione 230 del Communications Decency Act per difendersi dalle cause intentate da adolescenti e genitori contro la dipendenza da social. Tale sezione proteggeva in precedenza i social media dalle cause legate ai contenuti pubblicati dagli utenti.

Secondo il giudice, la sezione 230 non si applica in questo caso, poiché le cause riguardano il modo in cui le aziende hanno progettato le loro piattaforme piuttosto che i contenuti degli utenti.

In particolare, Meta, che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp, è finita nel mirino. I querelanti sostengono che l’azienda fosse a conoscenza della natura vessatoria e compulsiva delle sue piattaforme, ma non abbia condiviso tali informazioni con gli utenti. Ricerche esterne avrebbero dimostrato che gli adolescenti, pur consapevoli degli effetti negativi dei social sul loro benessere, non riescono a smettere di usarli compulsivamente.

I legali sostengono che Meta fosse al corrente che l’alto tempo di utilizzo era sproporzionato soprattutto tra gli utenti più giovani, i quali risultavano più vulnerabili alle dinamiche nascoste dei social. L’azienda avrebbe però taciuto tali dati, mentre progettava le sue piattaforme in modo da creare dipendenza tra gli adolescenti.

Ora Meta rischia serie ripercussioni legali negli Stati Uniti. La decisione del giudice ha infatti aperto la strada a possibili cause contro la dipendenza da social network intentate anche a livello federale, dove le aziende non potranno appellarsi alla sezione 230 come scudo legale.

Non solo Meta nel mirino, anche Snapchat, TikTok e Google sono finite sotto accusa. Le aziende respingono le accuse, sostenendo di offrire esperienze appropriate per l’età degli utenti più giovani e robusti strumenti di controllo parentale.

Ma la decisione della Corte di Los Angeles potrebbe aprire un vero e proprio vaso di Pandora: se effettivamente i social network hanno consapevolmente creato piattaforme vessatorie pensate per creare dipendenza tra adolescenti e bambini, le conseguenze legali e finanziarie potrebbero essere enormi; potrebbero partire class action miliardarie.

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