Qual è il rapporto tra gli italiani e le criptovalute? Se molto spesso si afferma che gli asset virtuali rappresentano ancora una realtà marginale, nel nostro Paese, sembra proprio che all’atto pratico la situazione sia molto differente. A cercare di fare il punto sulla situazione è stato l’OAM (Organismo Agenti e Mediatori), che proprio di recente ha pubblicato un rapporto teso a far conoscere meglio un settore che sta crescendo in maniera impetuosa.

Il rapporto dell’OAM sul rapporto tra italiani e criptovalute

Ammonta a non meno di 690.695 (ma per il Sole 24 Ore si tratterebbe di un dato sottostimato) il numero di nostri connazionali i quali conducono attività di vario genere che comportano l’utilizzo di valuta virtuale. È un rapporto dell’OAM condotto nel primo trimestre dell’anno in corso a fare chiarezza in tal senso.

Complessivamente sono stati trasmessi all’Organismo i dati relativi all’operatività in criptovalute di 1.174.914 clienti: di questi il 59% (appunto 690.665 clienti) deteneva, all’ultimo giorno del trimestre in esame, criptovalute in portafoglio per un controvalore in euro pari a 1.067.614.570, con un valore medio pari a 1.545,78 euro, nonostante un lieve calo fatto registrare nel corso del periodo preso in esame. Sempre in questo periodo hanno avuto luogo 1.758.823 operazioni tese alla conversione da valuta legale a virtuale (in media 11,74 operazioni per cliente) e 1.573.691 operazioni inverse (in media 14,99 operazioni per cliente).

L’analisi condotta sui primi 10 Paesi europei per Prodotto Interno Lordo (PIL) ha invece evidenziato come in l’Italia, al 30 giugno 2023, siano presenti 114 VASP (Virtual Asset Service Providers) iscritti nell’apposito Registro. Un numero il quale consente al nostro Paese di porsi alle spalle della sola Polonia, che guida il gruppo dall’alto dei suoi 768 operatori. Sul gradino più basso del podio c’è invece la Francia (78 operatori). Complessivamente nei 10 Paesi che compongono il campione esaminato sono attivi 1.116 VASP.

Oltre cento di questi operatori, per la precisione 109, provvedono ad erogare i propri servizi nella forma di persone giuridiche iscritti alla Sezione speciale del Registro OAM anche mediante punti fisici (127) e ATM (77). I primi sono concentrati principalmente in Lombardia (18%), Lazio (17%) e Toscana (13%).

Dei 74 operatori che hanno provveduto a trasmettere i dati della clientela, 53 società possono essere classificate come “piccole” (hanno trasmesso informazioni su un numero di clienti inferiore a 500), mentre 15 appartengono alla categoria “Exchange medio” (le informazioni inviate riguardano in questo caso un numero di clienti compreso tra 500 e 50mila), con appena 6 che possono essere indicate alla stregua di grandi realtà, avendo provveduto a trasmettere dati relativi a oltre 50mila clienti.

Per quanto concerne invece la clientela, la stragrande maggioranza di essa (99,88%) è rappresentata da persone fisiche, con appena lo 0,12% costituito da persone giuridiche, con una concentrazione al Nord e al Centro (rispettivamente 46 e 30%).

Italia seconda in Europa per attività crypto

I dati che abbiamo riepilogato sono tali da collocare l’Italia al secondo posto tra i maggiori Paesi europei per questo genere di attività. Gli asset digitali, in particolare, sembrano esercitare una notevole forza di attrazione nei confronti degli under 40, dato che comunque non dovrebbe stupire più di tanto, trattandosi della fascia di popolazione che è maggiormente abituata ad utilizzare le tecnologie di ultima generazione. Ammonterebbe a circa il 65% il dato relativo a coloro che hanno meno di 40 anni tra gli utenti delle criptovalute, tra cui almeno 14mila minorenni, contro il misero 5% degli over 60.

Se il numero è molto rilevante e probabilmente superiore alle aspettative, occorre anche sottolineare come proprio l’ampiezza del fenomeno si traduce in forti preoccupazioni istituzionali. Troppi di questi utenti, infatti, sono attratti soprattutto dal sogno di fare guadagni facili e, soprattutto, elevati. Un sogno che troppo spesso nel corso degli anni si è trasformato in un vero e proprio incubo, come ben sanno ad esempio coloro che avevano affidato i propri soldi a FTX, l’exchange di criptovalute fondato da Sam Bankman-Fried crollato qualche mese fa, lasciando a mani vuote i tanti clienti di ogni parte del globo, compresi gli italiani.

La speranza è naturalmente che proprio la conoscenza del settore e dei rischi collegati a Bitcoin e Altcoin possa consentire agli investitori di capire l’importanza di seguire comportamenti responsabili. Ovvero linee di condotta che da sole potrebbero abbattere il livello di rischio in questo genere di attività, troppo spesso ignorate dai diretti interessati.

Gli allarmi di Bankitalia

Proprio l’atteggiamento sin troppo disinvolto di un gran numero di italiani, quando si rivolgono alle criptovalute, ha provocato più di un allarme da parte della Banca d’Italia. Un allarme del resto doveroso alla luce delle ripetute vicende le quali hanno comportato perdite elevatissime per un gran numero di investitori italiani che pure si erano rivolti con grande fiducia alle criptovalute.

Anche il nostro Paese, infatti, è stato teatro di alcune vicende che ha destato notevole clamore, in particolare quelle relative a The Rock Trading e a New Financial Technology. Soprattutto la seconda, che è ancora in fase di indagine da parte delle forze dell’ordine, ha colpito in maniera molto rilevante l’opinione pubblica, svelando una serie di comportamenti truffaldini da parte dei responsabili dell’azienda di Silea, tali da confermare ancora una volta come il settore veda la presenza di soggetti poco raccomandabili.

Più di una volta Via Nazionale ha rivolto accorati appelli a banche e intermediari in genere, oltre che ai cittadini, per spingere le parti in causa ad agire in maniera responsabile. Il motivo di questi appelli è spiegato proprio dal giudizio rilasciato dalla massima autorità bancaria tricolore, secondo la quale gli asset virtuali sarebbero strumenti rischiosi e speculativi, di conseguenza non adatti per la maggior parte dei consumatori. Non lo sarebbero sotto forma di investimento e neanche come mezzo di pagamento.

Resta da capire se proprio le vicende ricordate avranno il potere di rendere più accorti gli investitori o se, al contrario, gli stessi continueranno ad esporsi al rischio di essere truffati allettati dalle mirabolanti promesse di guadagno che proprio le realtà meno trasparenti sono solite avanzare sul mercato conoscendone la forza di attrazione. È del resto proprio il rapporto dell’OAM a ricordare come in Italia operino 16 soggetti che sembrerebbero svolgere l’attività di VASP senza essere iscritti al Registro speciale, quindi assolutamente da evitare.

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