Shangai, l’atteso aggiornamento sulla blockchain di Ethereum, è finalmente arrivato. Si tratta di una data considerata storica dalla comunità raccolta alla seconda criptovaluta in ordine di importanza. A renderlo tale è il passaggio dall’algoritmo di consenso Proof-of-Work (PoW), lo stesso del Bitcoin, a quello Proof-of-Stake (PoS). Un passaggio che, secondo gli esperti, dovrebbe garantire agli utenti operazioni più rapide e convenienti. Al tempo stesso sottrae la rete di Ethereum al dibattito in atto sui problemi ambientali collegati all’utilizzo del protocollo Proof-of-Work. Andiamo quindi a vedere più da vicino la questione.
Indice:
Shangai è ora attivo: per Ethereum inizia una nuova era
Poco prima delle 18:30 di ieri la blockchain di Ethereum è stata finalmente aggiornata, con il previsto e sospirato aggiornamento aggiornamento noto come Shangai. Si tratta di un passaggio estremamente importante, in quanto permette finalmente a utenti e validatori di ritirare i loro Ether (ETH) in staking sulla rete. In pratica, viene sancito l’abbandono dell’algoritmo di consenso Proof-of-Work e il passaggio al Proof-of-Stake.
L’aggiornamento è avvenuto sotto forma di hard fork sulla mainnet all’altezza del blocco 6.209.536 e oltre al nuovo algoritmo di consenso prevede l’adozione di tariffe per il gas enormemente più convenienti, ridotte all’1% rispetto a quelle precedenti.
Per quanto riguarda lo stake, con l’arrivo di Shangai sono state introdotte due tipologie di prelievo per gli ETH messi in stake: parziale e totale. Il primo prevede la distribuzione automatica degli ETH ai validatori, assicurando che il saldo di questi ultimi resti ai 32 necessari per mantenere lo status in questione. Nel caso in cui invece il prelievo sia totale, l’interessato perderà la qualifica.
Naturalmente, l’aggiornamento della rete ha avuto un contraccolpo immediato sul prezzo di Ethereum, che nel corso delle ultime 24 ore ha messo a segno una crescita superiore al 5%. Una fluttuazione dovuta proprio alla possibilità da parte degli interessati per quanto riguarda il ritiro dei token bloccati in precedenza. Occorre comunque sottolineare che non tutti quelli in staking saranno ritirati, proprio per la necessità da parte dei validatori di non perdere il ruolo ricoperto all’interno della blockchain.
Le ricadute ambientali di Shangai
L’aggiornamento di Ethereum non è importante soltanto per gli effetti finanziari che comporta, ma anche in ordine alla questione ambientale collegata all’utilizzo dell’algoritmo di consenso Proof-of-Work. La differenza tra PoW e PoS è in effetti estremamente profonda. Il primo viene condotto tramite complessi calcoli matematici, mentre il secondo prevede una sorta di lotteria, in quanto basta depositare un minimo di ETH per prendervi parte. Sarà poi un procedimento del tutto casuale a stabilire chi sia chiamato ad approvare i nuovi blocchi sulla rete.
Nel caso di PoW sono necessari quindi macchinari estremamente potenti e costosi, con conseguente consumo di grandi quantitativi di energia elettrica. Un modus operandi tale da riservare questo commercio ad aziende in grado di sostenere un esborso molto consistente, a differenza del PoS.
Proprio l’eccessivo consumo di energia da parte di Bitcoin ha spinto una parte dell’opinione pubblica mondiale a dare vita ad un serrato dibattito, nel corso degli ultimi anni. Basti pensare a quanto accaduto durante la discussione sul Markets in Crypto-Assets (MiCA), il nuovo regolamento messo in campo dall’Unione Europea per tenere sotto controllo il settore delle criptovalute.
In quella occasione, infatti, il blocco dei Paesi nordici capeggiato dalla Svezia cercò di far approvare il vero e proprio bando a BTC e tutti gli altri progetti basati sul PoW. Un bando giustificato proprio dalla pessima fama a livello ambientale della creazione attribuita a Satoshi Nakamoto. Un tentativo non andato a buon fine, ma che resta alla stregua del classico convitato di pietra, in quanto tale misura potrebbe essere riproposta in qualsiasi momento.
La discussione sulle ricadute ambientali dell’algoritmo di consenso Proof-of-Work
Basta in effetti vedere i dati forniti dall’osservatorio della Cambridge University, noto come Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (CBECI), per capire meglio i termini della discussione.
Nel corso del 2022, infatti, la quantità di energia utilizzata per il funzionamento della rete Bitcoin è stata pari a 107 terawattora, un quantitativo pari a quello consumato dai Paesi Bassi. Di questo quantitativo solo il 25% proviene da fonti rinnovabili, aggravando quindi il problema.
Prima che avesse luogo il Merge, che ha sancito il passaggio allo staking, la rete di Ethereum consumava circa due terzi di quanto impiegato dalla blockchain di Bitcoin. Ora, almeno stando ai dati forniti da Alex de Vries, data scientist della De Nederlandsche Bank e creatore di Digiconomist, piattaforma che pubblica dati relativi alle emissioni delle criptovalute, il dato si sarebbe ridotto nell’ordine del 99,84%.
Si tratta di un mutamento estremamente importante, in quanto va in pratica a sottrarre la seconda criptovaluta in ordine di importanza ad una discussione in cui molto spesso i toni tendono ad esacerbarsi, facendo perdere la percezione della reale entità del problema.
Per capire meglio, occorre osservare che l’energia collegata a BTC rappresenta al massimo lo 0,15% del consumo annuale di energia. Un dato ricordato da Yan Pritzker, cofondatore della piattaforma di trading Swan Bitcoin, il quale si chiede retoricamente perché, alla luce di esso, BTC sia finito nell’occhio del ciclone.
Basta in effetti dare una rapida occhiata ad uno studio pubblicato da Ark Investment nel corso del 2021, per porsi la stessa domanda. L’analisi ha provveduto a confrontare il consumo energetico del mining di BTC con quello derivante dal processo di estrazione dell’oro, o necessario al funzionamento del sistema bancario tradizionale. Il risultato del confronto non lascia in effetti dubbi: il consumo di energia necessario all’estrazione dei blocchi di Bitcoin si attestava infatti alla metà di quello che caratterizza l’estrazione dell’oro e addirittura ad un decimo di quello necessario per il funzionamento del sistema bancario.
Il dibattito su Bitcoin è di carattere puramente ideologico
Perché i sostenitori del Bitcoin si oppongono al passaggio allo staking? Il motivo è soprattutto di carattere ideologico: tale passaggio, infatti, aumenterebbe il pericolo di una centralizzazione. Da ideologico, però, il problema potrebbe assumere un aspetto di ordine pratico: se è possibile centralizzare la rete, chi dovesse riuscirci potrebbe addirittura rendere reale quello che al momento è un semplice spauracchio, per BTC: l’attacco 51%, con la possibilità di portare avanti il double spending, ovvero spendere due o più volte lo stesso denaro virtuale.
Un attacco che al momento, proprio grazie a PoW, è considerato se non impossibile altamente improbabile, in quanto comporterebbe una spesa per centinaia di migliaia di dollari. Una cifra la quale difficilmente potrebbe essere portata a casa dall’eventuale attaccante, prima che la rete sia sottratta al suo controllo.
Un episodio simile segnerebbe in pratica la fine per la regina delle criptovalute e per l’intero settore, in buona sostanza, in quanto costituirebbe un colpo irrimediabile alla loro reputazione. Proprio per questo motivo i sostenitori di Bitcoin sono totalmente e fieramente avversi allo staking.
Non meno mossi dall’ideologia sono però coloro che detestano la creazione di Satoshi Nakamoto, ovvero gli ecologisti. Il passato 23 marzo proprio loro hanno dato vita ad una campagna denominata “Change the Code, Not the Climate”. Il codice è proprio quello su cui si muove BTC e la campagna è stata promossa da Greenpeace.
Un modo di affrontare la questione che ha naturalmente provocato la reazione furente degli evangelisti del Bitcoin, i quali non hanno avuto eccessive remore ad accusare l’associazione ambientalista di essere finanziata da Chris Larsen, il numero uno di Ripple, tra i più interessati da eventuali difficoltà per il progetto ancora largamente maggioritario nel settore dell’innovazione finanziaria.
A porre fine al dibattito, a questo punto, potrebbe essere soltanto un colpo di maglio, quello rappresentato da quel bando al mining Proof-of-Work prospettato in sede UE. Se ciò accadesse altri Paesi potrebbero decidere di seguire il solco tracciato e in questa ipotesi per BTC sarebbe la fine. Proprio per questo l’adozione dello staking da parte di Ethereum è stata salutata con grande favore anche dai mercati.
Leggi anche: Proof-of-Stake: cos’è e perché sta facendo sempre più proseliti
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