Il comitato giudiziario della Camera dei Rappresentanti, guidato dal repubblicano Jim Jordan, ha citato in giudizio Tim Cook e gli altri grandi dirigenti delle Big Tech. L’accusa che viene mossa nei loro confronti è molto pesante: dovranno infatti dimostrare di non aver collaborato per limitare o sopprimere la libertà di espressione. Oltre all’amministratore delegato di Apple, dovranno discolparsi anche i suoi omologhi Mark Zuckerberg (Meta), Sundar Pichai (Alphabet), Andy Jassy (Amazon) e Satya Nadella (Microsoft). In pratica si tratta del Gotha del settore tecnologico a stelle e strisce.

La Camera USA contro le Big Tech: cosa sta accadendo

Il presidente del Comitato giudiziario della Camera dei Rappresentanti Jim Jordan, repubblicano eletto in Ohio, ha citato in giudizio gli amministratori delegati delle grandi aziende tecnologiche statunitensi. L’accusa che sarebbe alla base dell’atto è estremamente pesante: gli interessati avrebbero in pratica collaborato con il governo federale nel preciso intento di sopprimere la libertà di espressione negli Stati Uniti.

Secondo il Wall Street Journal, l’indagine avrà il compito di determinare se le società abbiano o meno censurato i punti di vista divergenti con la politica messa in atto dalla Casa Bianca su questioni come la politica sanitaria decisa al fine di contrastare la diffusione del Covid sul territorio statunitense.

Cook e i suoi colleghi dovranno consegnare tutta la documentazione e gli atti richiesti entro il prossimo 23 marzo. Il comunicato stampa della Camera, emesso per l’occasione, recita testualmente: “A partire dallo scorso dicembre, la commissione giudiziaria della Camera ha ripetutamente tentato di dialogare con le cinque società. Purtroppo le aziende non hanno ottemperato adeguatamente alle nostre richieste. Il Congresso ha un ruolo importante nella protezione e nella promozione dei principi fondamentali della libertà di parola, anche esaminando come gli attori privati ​​si coordinano con il governo per sopprimere i discorsi protetti dal Primo Emendamento. Queste citazioni in giudizio sono il primo passo per ritenere le Big Tech responsabile.”

Già nel mese di novembre Tim Cook aveva preso parte ad un incontro con alcuni rappresentanti del partito repubblicano (oltre a Jordan c’erano Darrel Issa, eletto in California e Cathy McMorris Rogers, rappresentante dello Stato di Washington) per provare a trovare un punto d’incontro. Con tutta evidenza quella riunione non è però servita per fugare le perplessità che hanno ora condotto all’apertura dell’inchiesta parlamentare.

Da notare l’assenza di Elon Musk dalla lista in questione. Non tanto perché Twitter sia ritenuto un attore di scarso rilievo, quanto perché il nuovo proprietario del social media ha messo in atto una politica che è stata molto gradita dal GOP, come dimostra il pubblico sostegno di Jordan alle sue mosse in qualità di nuovo CEO dell’azienda.

Le accuse pesantissime a carico di Tim Cook

L’avvio dell’inchiesta parlamentare ufficializza il fastidio con cui i repubblicani hanno visto la politica attuata dalle Big Tech nel corso degli ultimi anni. Se già il bando elevato nei confronti di Donald Trump aveva destato grandi proteste tra i sostenitori dell’ex inquilino della Casa Bianca, anche altri provvedimenti presi da queste aziende sono finite sotto il mirino dei conservatori.

Tra le tante accuse che sono state elevate nel corso degli ultimi anni, occorre però sottolineare gli appunti mossi dal senatore del Missouri Josh Hawley, in una lettera di fuoco indirizzata a Tim Cook. Le sue parole sono in effetti pesanti come pietre: “Sotto la tua guida Apple ha ripetutamente assistito il Partito Comunista Cinese nel sorvegliare e sopprimere i diritti fondamentali del popolo cinese.”

Lo stesso Hawley ha poi accusato Apple di voler bandire Twitter dal suo App Store, in risposta alle nuove politiche libertarie introdotte da Elon Musk. Un’accusa alquanto imprudente, considerato come proprio il nuovo proprietario del social media abbia affermato che tale intenzione non si è mai manifestata. Un’affermazione la quale è arrivata alla fine di novembre dopo una passeggiata tra Musk e Cook.

Cosa potrebbe accadere ora

La citazione dei dirigenti delle Big Tech sembra l’ennesimo atto di una vera e propria guerra in atto negli Stati Uniti. Non tanto da parte del partito repubblicano, quanto dalla parte di esso che si richiama espressamente alle posizioni di Donald Trump, il quale non sembra disposto a mettere una pietra sui dissapori degli anni passati.

Dopo il bando emesso per due anni da parte di Facebook e Instagram, e quello perpetuo da parte di Twitter, il fossato tra le controparti non è stato minimamente colmato neanche dal passo indietro delle rispettive aziende. Trump sembra essersi legato al dito quanto accaduto e l’inchiesta parlamentare sembra la più plastica conferma in tal senso.

Resta comunque difficile pensare che i repubblicani intendano realmente sanzionare una parte così rilevante del mondo economico statunitense. Molto più probabile che si tratti invece di un avvertimento a non schierarsi in futuro in maniera così evidente dalla parte dei democratici. Non resta ora che assistere ai passi successivi di una vicenda la quale ha naturalmente destato un notevole clamore nell’opinione pubblica, molto reattiva in tal senso dopo i fatti di Capitol Hill.