I tanti assistenti vocali che popolano le nostre abitazioni, che siano inclusi in smart TV, speaker intelligenti, smart screen o telefoni, creano un rischio potenziale per la nostra privacy, anche a causa delle numerose attivazioni “accidentali” che avvengono spesso a insaputa dell’utente.

Lo affermano due diversi studi, condotti su Alexa, Siri e Google Assistant. Il test più interessante è stato testato da alcuni ricercatori delle università di Darmstadt, Parigi Saclay e North Caroline State, che si sono avvalse di LeakyPick.

La soluzione, basata su Raspberry Pi, genera una serie di rumori e monitora il traffico di rete generato, per capire quanto spesso ii dati vengano inviati ai server delle aziende coinvolte. E con LeakyPick è stato semplice anche scoprire nuove hotword, decisamente diverse da “Alexa” che portano all’attivazione del microfono.

I test sono stati condotti in lingua inglese ma è più che probabile che anche in altre lingue esistano delle parole che fanno scattare la registrazione. Sono stati testati Amazon Echo Dot, Apple HomePod e Google Home per quasi due mesi e i risultati, in particolare per Alexa, sono sorprendenti.

L’assistente di Amazon si attiva, ad esempio, con parole come barrancaelectrotelegraphic, gloeckner, lictor ma anche, seppur con frequenza inferiore, anche con electrohydraulic o electropathic. Amazon, dal canto suo, afferma di non aver potuto rivedere la metodologia utilizzata per i test, ma assicura che tutti i dati sono gestiti nel pieno rispetto della privacy.

Va detto che tutte le attivazioni avvenute in seguito alle 89 hotword errate rilevate da LeakyPick hanno portato alla trasmissione delle registrazioni ai server Amazon, nonostante si trattasse di attivazioni non desiderate.

Molto simili i risultati ottenuti dalla Ruhr-Universität Bochum (RUB) e dal Bochum Max Planck Institute (MPI) for Cyber Security and Privacy, che hanno addirittura identificato un migliaio di frasi che attivano accidentalmente gli assistenti vocali.

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