OpenAI continua con la sua ascesa vertiginosa nel panorama tecnologico mondiale, Sam Altman, CEO dell’azienda che ha dato vita a ChatGPT, ha confermato che il 2025 si chiuderà con un fatturato annualizzato superiore ai 20 miliardi di dollari, un risultato che consolida la posizione di OpenAI come una delle realtà a più rapida crescita nella storia recente del settore digitale. Ma l’obbiettivo dichiarato è ancora più ambizioso: raggiungere centinaia di miliardi di dollari di ricavi entro il 2030, un traguardo che riflette la visione di Altman su un’economia sempre più centrata sull’intelligenza artificiale.

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OpenAI cresce a ritmi record e guarda al futuro

Il nuovo dato, comunicato dallo stesso Altman in un post su X, rappresenta un deciso balzo rispetto ai 13 miliardi di dollari di fatturato stimati appena pochi mesi fa dalla CFO Sarah Friar; una crescita che testimonia non solo la popolarità dei servizi di intelligenza artificiale generativa, ma anche la solidità del modello di business che OpenAI sta costruendo attorno alla propria struttura.

Stiamo costruendo l’architettura per un’economia basata sull’IA, ha dichiarato Altman, spiegando che i grandi progetti infrastrutturali richiedono anni per essere completati e che per questo motivo è necessario investire massicciamente fin da ora.

In effetti i numeri sono impressionanti, oltre 1,4 trilioni di dollari di accordi infrastrutturali già siglati per la realizzazione di nuovi data center e per il potenziamento della capacità di calcolo globale dell’azienda. Un impegno che, inevitabilmente, ha suscitato interrogativi tra analisti e investitori su come OpenAI intenda sostenere un piano così mastodontico.

Le dichiarazioni di Sarah Friar, che nei giorni scorsi aveva accennato a un possibile backstop federale per sostenere gli investimenti in chip e infrastrutture, hanno scatenato una reazione politica immediata negli Stati Uniti; David Sacks, il responsabile per l’intelligenza artificiale nominato dall’amministrazione Trump, ha ribadito che non ci sarà alcuna garanzia governativa o salvataggio federale per le aziende IA in difficoltà.

Friar ha poi chiarito le proprie parole su LinkedIn, spiegando che il termine backstop è stato frainteso e che l’obbiettivo è promuovere una collaborazione tra pubblico e privato, non una richiesta di sostegno economico diretto. Insomma, quella che traspare è l’immagine di un’azienda autonoma, aggressiva e convinta delle proprie scelte, pronta ad affrontare i rischi del mercato pur di mantenere il controllo totale sulla propria strategia industriale.

Nonostante la valutazione abbia ormai raggiunto i 500 miliardi di dollari, OpenAI non è ancora redditizia, l’azienda nata nel 2015 come laboratorio di ricerca no-profit ha cambiato radicalmente pelle dopo il successo di ChatGPT nel 2022, diventando il simbolo dell’esplosione dell’intelligenza artificiale generativa.

Ma questa crescita rapidissima ha un costo, l’addestramento e la gestione dei modelli linguistici di nuova generazione richiedono risorse informatiche colossali e investimenti continui in chip, energia e infrastrutture. La vera scommessa di OpenAI è che la domanda futura, proveniente da aziende, sviluppatori e consumatori, sarà in grado di compensare i costi enormi dell’espansione, trasformando l’attuale corsa all’IA in un ecosistema sostenibile e profittevole nel lungo periodo.

Il messaggio di Altman è chiaro: OpenAI non sta semplicemente costruendo un prodotto, ma sta gettando le fondamenta di una nuova economia; l’obbiettivo di arrivare a centinaia di miliardi di dollari di fatturato entro il 2030 non è una mera ambizione finanziaria, ma un’indicazione del ruolo che l’azienda intende giocare nel definire il futuro del lavoro, della produttività e della ricerca tecnologica.

Nonostante la concorrenza sia più che agguerrita, gli utenti, le aziende e i governi dovranno dunque abituarsi all’idea che OpenAI non è più una startup come le altre, ma un attore centrale nella prossima grande rivoluzione industriale.