Dopo oltre un anno di trattative, pressioni istituzionali e dispute legali di alto profilo, OpenAI ha ufficialmente completato la sua ristrutturazione societaria, ponendo le basi per una nuova fase della partnership con Microsoft e chiarendo, almeno in parte, cosa accadrà nel momento in cui dovesse essere raggiunta l’AGI, ovvero l’intelligenza artificiale generale, il tanto discusso punto di arrivo verso cui l’azienda sta lavorando sin dalla sua fondazione.

La divisione for-profit di OpenAI è ora una Public Benefit Corporation (PBC), rinominata OpenAI Group PBC, mentre la componente no-profit prende il nome di OpenAI Foundation, che mantiene una partecipazione azionaria consistente e, soprattutto, un ruolo di supervisione. La fondazione infatti detiene attualmente una quota valutata intorno ai 130 miliardi di dollari e potrà ottenere ulteriore equity in futuro, al raggiungimento di determinate soglie di valutazione.

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OpenAI guarda con sempre maggiore insistenza all’intelligenza artificiale generale

Il nuovo assetto è arrivato soltanto dopo il via libera formale dei Procuratori Generali di California e Delaware, un passaggio tutt’altro che scontato perché senza quell’approvazione OpenAI non avrebbe più potuto procedere né con la raccolta degli investimenti già previsti né con la transizione verso l’attuale modello ibrido. Nel frattempo, è stata chiusa anche la lunga battaglia legale con Elon Musk, che aveva tentato di bloccare la conversione richiamando lo statuto originario di OpenAI (nata come laboratorio di ricerca no-profit).

Proprio questa supervisione residua del ramo no-profit è l’elemento più differente rispetto al piano inziale: in teoria infatti, la fondazione continuerà ad avere un ruolo nella governance e nel controllo dell’orientamento dell’azienda, soprattutto in ambito etico e di gestione del rischio.

Uno degli aspetti più attesi di questa ristrutturazione riguarda la ridefinizione dell’accordo con Microsoft, che non è solo il principale partner tecnologico di OpenAI, ma anche uno degli investitori chiave; la quota di Microsoft è ora intorno al 27% (contro il precedente 32,5%), un ridimensionamento dovuto alla diluizione post ristrutturazione, ma accompagnato da un chiarimento essenziale: la cosiddetta clausola AGI non toglierà più a Microsoft i diritti sui modelli nel momento in cui l’AGI verrà dichiarata.

D’ora in avanti infatti:

  • l’AGI dovrà essere verificata da un comitato di esperti indipendenti, non solo da OpenAI
  • i diritti di proprietà intellettuale di Microsoft (relativi ai modelli e ai sistemi) restano validi fino al 2031 e includono anche i modelli post AGI
  • esistono limiti temporali e strutturali, i diritti sulla ricerca e sulle metodologie interne scadono nel 2030 o al momento della verifica dell’AGI, a seconda di quale evento si verifichi prima

C’è però un’eccezione importante, questi diritti non si applicano all’hardware consumer di OpenAI, vale a dire il dispositivo su cui l’azienda sta lavorando insieme a Jony Ive; Microsoft potrà continuare a beneficiare dello stack software, ma non della progettazione fisica o dei brevetti hardware legati al dispositivo.

Un’altra conseguenza rilevante è la fine della quasi esclusiva tra OpenAI e Microsoft, l’azienda potrà collaborare con partner diversi, sviluppare modelli open-weight in contesti selezionati, e scegliere altri fornitori di calcolo (Microsoft non ha più diritto di prelazione su Azure). Tuttavia, è già stato siglato un impegno incrementale per 250 miliardi di dollari di servizi Azure, segnale che la collaborazione resterà strategica anche se meno blindata.

La novità forse più significativa, dal punto di vista del settore, è che ora Microsoft può perseguire l’AGI anche autonomamente, senza vincoli di esclusività nei confronti di OpenAI; significa che si apre definitivamente una fase di concorrenza parallela, pur all’interno di una partnership tecnica e commerciale ancora molto stretta.

Questo scenario, come spesso accade, pone una domanda centrale: la governance dell’AGI sarà effettivamente nelle mani di un organismo indipendente o, come molti osservatori temono, resterà comunque fortemente legata alle dinamiche industriali dei giganti tecnologici?

In conclusione, OpenAI ha completato la ristrutturazione appena in tempo, se non lo avesse fatto entro fine anno avrebbe rischiato di perdere fino a 10 miliardi di dollari del maxi investimento SoftBank annunciato nei mesi scorsi. Molti tasselli sono ora più chiari, soprattutto per quel che riguarda il rapporto con Microsoft e le condizioni post AGI, ma restano aperti interrogativi sul ruolo effettivo della fondazione, sul perimetro dell’hardware consumer in arrivo e, più in generale, su quali limiti il settore sceglierà di darsi (o di non darsi) in un momento in cui la corsa alla prossima generazione di modelli si sta facendo sempre più competitiva.