Nel dicembre 2022 vi avevamo riportato la notizia di un traguardo scientifico che aveva segnato una svolta per la scienza moderna, per la prima volta nella storia, grazie ad una reazione di fusione nucleare, era stata prodotta più energia di quella utilizzata per innescare la reazione stessa. 

Qualche tempo dopo, nell’agosto dello scorso anno invece, abbiamo visto insieme come fosse stato raggiunto un nuovo traguardo nella produzione di energia grazie ai ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory, che riuscirono a produrre 3,5 megajoule.

Nelle ultime ore però, i ricercatori del consorzio EUROfusion (che riunisce circa cinquemila esperti da tutta Europa ed è cofinanziato dalla Commissione europea) sono riusciti a superare il precedente record grazie all’impianto JET (Joint European Torus) di Oxford, nel Regno Unito.

I ricercatori del JET stabiliscono un nuovo record mondiale per la produzione di energia da una reazione di fusione nucleare

Prima di tutto vediamo perché, anche questa volta, si tratta di un traguardo storico per la scienza moderna: al contrario della fissione nucleare, processo attualmente utilizzato nelle centrali nucleari, la fusione nucleare non crea radioattività, non produce scorie (o ne produce in minor quantità e con tempistiche di decomposizione molto più ristrette) e non ha bisogno di combustibili rari (nonché utilizzabili per la costruzione di ordigni atomici). 

Il processo presenta un’intrinseca complessità anche e soprattutto per quanto riguarda i reattori che possono essere utilizzati per realizzarlo, tali strutture infatti devono essere in grado di sopportare escursioni termiche al limite dell’immaginabile per i non addetti ai lavori: i campi magnetici necessari per fondere gli atomi tra loro infatti, necessitano, per essere prodotti, di temperature vicine allo zero assoluto (-273 gradi), ma la reazione di fusione nucleare è in grado di scaldare il reattore fino a centinaia di milioni di gradi.

Ci sono diversi approcci alla fusione nucleare, il reattore della National Ignition per esempio utilizza come abbiamo già visto il cosiddetto confinamento inerziale, per raggiungere l’obbiettivo di fondere insieme dei nuclei atomici vengono usati 192 raggi laser ad altissima energia per colpire una sfera di deuterio e trizio allo stato solido. La sfera inizia dunque a comprimersi e a riscaldarsi fino ad innescare la reazione di fusione.

Il nuovo record però, è stato raggiunto con un metodo diverso, l’approccio utilizzato nell’impianto JET è il cosiddetto confinamento magnetico: qui lo scopo è quello di utilizzare i reattori tokamak (reattori a forma di ciambella) per mantenere lo stato di plasma usando dei magneti, per poi riscaldarlo utilizzando una combinazione di microonde, onde radio e fasci di particelle.

Il traguardo raggiunto dal JET potrebbe in parte essere dovuto non solo all’approccio differente, ma anche al fatto che il reattore in questione è l’unico al mondo in grado di operare con una particolare miscela di combustibile detta Dte3, composta da deuterio e trizio (due isotopi dell’idrogeno), mentre la maggior parte degli altri reattori tokamak utilizza una miscela a base di idrogeno o deuterio.

Ad ogni modo, nel reattore del JET sono stati prodotti 69,26 megajoule di energia in sei secondi, utilizzando 0,21 milligrammi di combustibile, gli scienziati del JET sono stati in grado di riprodurre in modo affidabile le condizioni di fusione necessarie per il nuovo record in più impulsi sperimentali, dimostrando la comprensione e il controllo che hanno raggiunto sui complessi processi di fusione.

 

Si tratta dunque di un traguardo eccezionale nel settore della fusione nucleare, il “perfetto canto del cigno” (come lo ha definito il Ministro britannico per il Nucleare e le Reti, Andrew Bowie) per un reattore che ha da poco compiuto 40 anni e che ha concluso il suo ciclo di vita in bellezza, avendo svolto dal 1983 fino ad oggi un lavoro innovativo nel settore.

JET lascia dunque il passo al suo successore, Iter, un progetto ancora più grande con sede nel sud della Francia e a cui partecipano, oltre all’Unione europea, anche India, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti; l’obbiettivo è sempre lo stesso, continuare gli studi e consolidare ulteriormente l’utilizzo delle reazioni di fusione nucleare per la produzione di energia su larga scala.

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