La nuova legge sulle criptovalute è ora ufficiale. A sancirne lo status è stata l’approvazione della Legge di Bilancio 2023, dopo una vera e propria corsa contro il tempo condotta in Senato al fine di evitare l’esercizio provvisorio.

Con questo provvedimento il denaro digitale entra in una nuova era, in Italia, dopo che a dettarne le regole in maniera spesso scoordinata sono state le interpretazioni date di volta in volta dall’Agenzia delle Entrate, nel tentativo di porre rimedio all’assenza di una normativa organica. Andiamo quindi a vedere nel dettaglio cosa è stato deciso sul tema e cosa potrebbe mutare a partire da ora per chi investe in Bitcoin e Altcoin.

Nuova normativa sulle criptovalute: cosa cambia per gli investitori?

Dal primo gennaio è in vigore la nuova normativa in tema di criptovalute. A rendere possibile la novità è stata l’approvazione della Legge di Bilancio, compresi gli articoli dal 31 al 35 in cui sono contenute le nuove disposizioni che faranno da base per i rapporti degli investitori con le autorità fiscali del nostro Paese.

La novità, considerata la lunga tradizione di rivolgimenti all’ultimo minuto delle disposizioni di quella che un tempo era indicata come Finanziaria, è che rispetto alla prima formulazione del provvedimento non ci sono sostanziali mutamenti.

Entra quindi in vigore la nuova definizione di asset virtuale, consistente nella “rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”.

La parte più interessante per chi è già solito investire in denaro digitale, naturalmente, è quella relativa alla nuova imposizione fiscale cui sono sottoposte le criptovalute. In pratica, per effetto delle nuove disposizioni saranno tassate esclusivamente in caso di conversione in valuta fiat (reale) e di trasferimento derivante dalla decisione di utilizzarle per acquistare beni o servizi.

Per quanto riguarda le plusvalenze, il punto di partenza è rappresentato dalla loro definizione. In pratica, possono essere indicate come la differenza tra il valore dell’asset nel momento della permuta e il costo sostenuto al momento dell’acquisto e sono da considerare alla stregua di Redditi Diversi.

Nel caso in cui tale differenza sia a favore dell’investitore saranno assoggettate ad una aliquota pari al 26%, ma soltanto nel caso in cui esse vadano a superare i 2mila euro nel corso dell’anno. Quelle soggette a tassazione dovranno essere calcolate come la differenza tra il corrispettivo percepito e il costo o il valore di acquisto. Nel caso di minusvalenze, molto probabili in un momento di crisi del settore come l’attuale, anch’esse dovranno superare la soglia dei 2mila euro per poter essere oggetto di deduzione integrale dalle plusvalenze degli anni successivi, un diritto il quale però è destinato a decadere dopo il quarto. Per poter sfruttare queste ultime, però, occorrono elementi di certezza sul loro costo, che altrimenti dovrà essere pari a zero.

In caso di donazione di un asset virtuale, la legge stabilisce come riferimento il costo di acquisto del donante. Ad essere considerate plusvalenze saranno in questo caso quelle relative a casi in cui si verifichi un trasferimento a soggetti che siano diversi dagli intestatari. Ove invece le criptovalute siano oggetto di successione, il costo deve essere pari a quello dichiarato agli effetti della relativa imposta.

Non manca poi una parte dedicata alla rivalutazione per quanto concerne il valore delle attività detenute al primo giorno del nuovo anno. In questo caso  si può procedere pagando una imposta sostitutiva di quella sui redditi pari al 14%, che può essere saldata in 3 rate annuali, con la prima da versare entro il prossimo 30 giugno. Sull’importo delle rate successive alla prima dovranno inoltre essere corrisposti interessi nella misura del 3 % annuo, contestualmente a ciascuna rata.

Infine, resta in vigore l’imposta di bollo sulle transazioni effettuate mediante impiego di denaro virtuale, per un valore pari allo 0,2%.

La sanatoria sulle criptovalute

Uno degli aspetti che ha caratterizzato la discussione sulla nuova legge per le criptovalute è stato quello sull’introduzione di una imposta sostitutiva del 3,5% grazie alla quale è possibile da parte di chiunque mettersi in regola nel caso sia stato effettuato un cash out precedente al 1° gennaio del 2021. Per poter affrancare il valore al primo giorno di gennaio del 2023 basterà versare il 4,67% all’anno per un triennio.

Naturalmente, anche alla luce delle abitudini della politica tricolore, più di un osservatore ha parlato di vera e propria sanatoria, la quale sembra però indispensabile alla luce dell’assenza di una normativa organica sulle attività crypto negli anni passati e della possibile confusione generata dal procedere a colpi di interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate.

Per tutti coloro che non hanno provveduto a regolarizzare la propria posizione indicando le criptovalute detenute prima del 31 dicembre 2021 sarà possibile sanare le mancanze in tal senso pagando una sanzione per omessa dichiarazione pari all’0,5% per ogni anno sul valore delle operazioni che non sono state dichiarate al fisco.

Proprio su questo punto da più parti si è rilevata la vera e propria contraddizione derivante dal fatto che per far emergere le attività in proposito si stabilisce il principio di sanare una cosa per la quale non sussisteva alcun obbligo Un’eccezione che, in effetti, sembra del tutto logica.

In buona sostanza, possiamo affermare che i mutamenti introdotti dalla Legge di Bilancio 2023 riguarderanno in particolare coloro che non hanno mai dichiarato le proprie attività crypto al fisco. Per regolarizzare la propria posizione basterà versare lo 0,5% sul valore delle valute digitali possedute al 1° gennaio nel corso degli anni.

Per quanto riguarda i cash out precedenti al 1° gennaio 2021 che non sono stati dichiarati, si applicherà una imposta sostitutiva pari al 3,5%, mentre per coloro che registrano valori di carico inferiori rispetto all’attuale valore avranno la facoltà di rivalutare il capitale al 1° gennaio del 2023, con il pagamento del 14% sul valore del capitale oggetto di perizia, da saldare in un triennio.

Per quanto concerne invece le plusvalenze che siano state cumulare a partire dal 1° gennaio dello scorso anno sono tassate al 26%, a patto che il valore complessivo si attesti oltre la quota di 2mila euro, sotto la quale non è necessario versare l’aliquota prevista. Ai contribuenti spetta ora capire quale sia il modo migliore per poter sfruttare le possibilità createsi con la nuova normativa.

Per concludere, possiamo dire che la nuova legge fissa i seguenti punti:

  • chi investe in criptovalute nel nostro Paese deve pagare tasse;
  • devono essere tassate le transazioni con impiego di denaro digitale e la trasformazione di questo in valuta reale;
  • le plusvalenze generate pagano il 26% di aliquota se superano i 2mila euro complessivi durante l’anno fiscale;
  • le eventuali minusvalenze si possono detrarre dalla dichiarazione dei redditi nel corso dei successivi quattro anni al loro conseguimento;
  • le mancanze precedenti dei contribuenti si possono sanare versando lo 0,5% per ogni anno in questione.

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