Una delle principali novità previste dalla nuova Legge di Bilancio per il nuovo anno, la prima varata dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, è rappresentata dalla nuova tassa sulle criptovalute, o tassa Bitcoin che dir si voglia. L’ipotesi era già stata avanzata nei giorni precedenti, ma ora è arrivata la pubblicazione del documento del governo italiano su cui sarà impostata la discussione in Parlamento.

La tassa in questione, però, sembra confermare ancora una volta la scarsa attitudine dei politici italiani per le tecnologie di ultima generazione. Se infatti si delinea finalmente una normativa di riferimento per le attività crypto, il modo in cui è stata scritta la nuova legge lascia una serie di punti irrisolti e sembra peggiorarne altri, tanto da spingere alcuni osservatori ad affermare che le nuove norme sono più restrittive di quelle che erano ad esempio state indicate dall’Agenzia delle Entrate in relazione ai redditi da criptovalute e destinate a produrre confusione.

In attesa che entri in Parlamento per essere discussa e magari migliorata nelle parti più discutibili, andiamo quindi a vedere più da vicino le nuove disposizioni per capire meglio il nuovo quadro normativo che si sta delineando in tema di asset digitali.

Tassa criptovalute: cosa stabilisce la Legge di Bilancio

Le nuove norme che andranno a regolare le criptovalute nel nostro Paese sono indicate negli articoli dal 31 al 35 della bozza di Legge di Bilancio destinata ad essere discussa e approvata dal Parlamento entro la fine dell’anno.

L’articolo 31, in particolare, afferma che viene ad essere modificato il testo unico delle imposte sui redditi risalente al 22 dicembre del 1986. Le variazioni più rilevanti sono le seguenti:

  • l’introduzione di un prelievo del 26% sulle plusvalenze derivanti da criptoattività, il quale scatta solo in fase di conversione delle valute virtuali in fiat e non in quella da una criptovaluta all’altra;
  • lo stabilimento di una franchigia pari a 2mila euro, sotto la quale le plusvalenze e gli altri proventi non hanno rilievo a fini fiscali;
  • l’obbligo a dichiarare qualsiasi genere di importo in criptovalute all’interno del riquadro RW della dichiarazione dei redditi;
  • l’introduzione di una imposta di bollo pari allo 0,2% su ogni attività che comporti impiego di denaro virtuale.

Una tassa destinata a sollevare discussione anche in Parlamento

Queste sono in pratica le modifiche più rilevanti stabilite all’interno della Legge di Bilancio. Modifiche le quali saranno naturalmente oggetto di discussione, soprattutto da parte degli operatori di settore, i quali hanno reagito negativamente in particolare all’introduzione dell’imposta di bollo, che secondo loro è destinata a produrre un nuovo carico burocratico senza grandi vantaggi per l’erario.

Anche la franchigia a 2mila euro sembra predisporre un quadro meno favorevole ai piccoli risparmiatori, rispetto ai 51.645 euro che erano previsti in precedenza. E, ancora, se prima non si dichiaravano importi in criptovalute sotto i 15mila euro, ora è obbligatorio farlo nel riquadro RW, senza che peraltro sia specificato se il valore sia da riferire al momento dell’acquisto o a quello della vendita.

L’utilizzo del termine criptoattività nel testo comporta poi un ulteriore fattore di incertezza. I Non Fungible Token (NFT), infatti, sono certificati di proprietà su opere d’arte o dell’ingegno, con un prezzo di mercato destinato ad essere deciso dalla libera contrattazione tra privati. Di conseguenza potrebbero non rientrare nella terminologia adottata.

Si può facilmente prevedere, quindi, che il testo per ora inserito all’interno della Legge di Bilancio possa essere precisato con l’esame parlamentare della stessa. Almeno questo è l’augurio che sembra lecito formulare, in un momento in cui fare investimenti in asset virtuali non sembra destinato a tramutarsi in una passeggiata di salute.

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