Il crollo di Terra (LUNA) è destinato a fare da vero e proprio spartiacque per il settore delle criptovalute. Se già in precedenza si erano verificati cali clamorosi, addirittura nell’ordine del 90% rispetto ai massimi storici, nel caso del progetto di Do Kwoon a rendere il quadro più preoccupante è il fatto che ad essere implicata è una stablecoin, ovvero una valuta virtuale ancorata ad un bene reale.
Se il team di sviluppatori radunato intorno a Terra sta cercando di porre argine al disastro, con risultati al momento molto deludenti, il mondo politico non può fare a meno di prendersi carico di quanto accaduto. Tra le tante notizie che continuano ad arricchire la discussione, arriva ora anche una proposta molto importante, da parte del Tesoro del Regno Unito, teso in particolare ad evitare che episodi di questo genere possano ripetersi nel futuro. Andiamo quindi a vedere di cosa si tratti e, in particolare, cosa prevede al proposito.
Indice:
La proposta del Tesoro britannico
Affidare il mantenimento della continuità operativa e la limitazione degli effetti di un crash delle stablecoin alla Bank of England: questa è la proposta messa in campo dal Tesoro del Regno Unito al fine di impedire che episodi simili a quelli di Terra possano avere conseguenze devastanti sul sistema economico e finanziario.
Il provvedimento del governo si fonda sulla necessità di una supervisione da parte di organismi preposti allo scopo in modo tale che possano essere mitigati i potenziali rischi collegati a queste particolari criptovalute le quali, a differenza del Bitcoin, sono ancorate a beni reali.
La proposta si inserisce in un quadro che era già stato ridefinito dopo la crisi finanziaria del 2008, seguita allo scoppio della bolla dei mutui Subprime. All’epoca, il Tesoro aveva invitato le principali banche a sviluppare “testamenti biologici” o linee guida sulle possibili azioni da intraprendere quando un’istituzione si trova in accentuato stato di difficoltà. A seguito di queste disposizioni, chi funge da prestatore di capitale deve comunque detenere riserve minime in grado di sostenere eventuali saldi ed evitare la corsa agli sportelli.
Un fenomeno il quale fa da logico corollario al timore che le banche non abbiano quantità sufficienti di liquidità assumendo però le sembianze della classica valanga che si ingrossa precipitando a fondo valle. Situazioni le quali, come è ormai noto, sono in grado di causare l’insolvenza degli enti interessati e che proprio i provvedimenti in questione hanno cercato di depotenziare.
Proprio per cercare di estendere questo criterio alle stablecoin, il governo del Regno Unito sta ora valutando il varo di nuove leggi sui fallimenti di questi particolari token, i quali potrebbero condurre a rischi molto elevati per i servizi di pagamento. Nell’ambito del piano allo studio, il Tesoro ha deciso anche di proporre modifiche alle regole di insolvenza per le reti di pagamento in caso di fallimento di una stablecoin di rilievo.
Chi possiede stablecoin deve essere rimborsato ove si verifichi un crollo
Le normative che regolano al momento le reti di pagamento sono state ideate nel preciso intento di garantire la continuità operativa in caso di un guasto della rete. Nel caso delle stablecoin, oltre al recupero dei fondi dei clienti si pone anche quello relativo alla restituzione delle chiavi private. All’atto dell’apertura di un conto su un exchange, i clienti provvedono ad affidare queste chiavi, le quali funzionano allo stregua di password per entrare nel wallet, all’istituto in cambio di una credenziale d’accesso tradizionale.
Ove si verifichi una situazione difficilmente controllabile, però, questa restituzione potrebbe essere messa in dubbio, sfociando infine alla completa rovina degli investitori implicati. Un altro aspetto tale da provocare non pochi dubbi nelle autorità di controllo dei mercati finanziari di ogni parte del mondo.
La ratio che ispira la legge è comunque abbastanza chiara: chi possiede stablecoin deve essere rimborsato ove si venga a verificare un crollo. Per poter avere garanzie in tal senso, occorre quindi che le aziende che ne propongono una siano in grado di garantire l’ancoraggio ad un bene stabilito in partenza, solitamente valuta fiat. Negli Stati Uniti, però, già si sono verificati episodi opachi in tal senso, i quali hanno visto coinvolto in particolare Tether.
Nel dicembre del 2017, ad esempio, Tether e Bitfinex sono stati citati in giudizio dalla Commodity Futures Trading Commission (CFTC) degli Stati Uniti con il sospetto che l’USDT fosse stato coniato senza che ci fossero fondi sufficienti a giustificarne la circolazione. In pratica, per ogni dollaro digitale ce ne dovrebbe essere uno reale depositato su un conto bancario a garanzia.
Più di una volta, però, questa condizione è venuta a mancare, ad esempio nel maggio del 2019, quando un avvocato di Tether ha dovuto ammettere nell’ambito di una causa giudiziaria che il coin è supportato solo per il 74% da valuta fiat. Violazione dopo violazione, alla fine l’azienda è stata messa sotto accurata vigilanza da parte del General Attorney di New York, Letitia James e, nell’aprile del 2021 si è giunti ad un accordo nell’ambito del quale Tether e Bitfinex dovranno fornire rapporti trimestrali in grado di dettagliare accuratamente le riserve in dollari statunitensi di USDT.
Si tratta di una questione assolutamente decisiva, come si può facilmente immaginare: se i fondi reali non ci sono come potranno essere risarciti i possessori di una stablecoin fallita? Il Tesoro del Regno Unito sembra intenzionato a togliere eventuali zone grigie in tal senso, per evitare qualsiasi genere di rischio per i cittadini. Una preoccupazione del tutto fondata, considerate le implicazioni di sistema che il crollo di una valuta di questo genere potrebbe comportare.
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