Il parlamento portoghese ha respinto una proposta di legge presentata dai partiti di sinistra Bloco de Esquerda e Livre relativa ad una tassa da elevare a carico delle risorse digitali. A riferirlo è stato il quotidiano online ECO, sul suo blog. In pratica, i proponenti avevano chiesto al governo di prendere in considerazione la tassazione dei profitti delle criptovalute sopra la soglia dei 5mila euro.
L’evento si va ad inserire in un momento abbastanza particolare. Il Paese lusitano, infatti, è stato a lungo considerato una sorta di paradiso fiscale per quanto riguarda gli asset virtuali, tanto da averli esentati dal pagamento delle tasse sin dal 2018. Inoltre, il trading crypto non è considerato reddito da investimento, facendo di Lisbona una sede estremamente attraente non solo per le startup, ma anche per tutte le realtà collegate al settore. Solo le aziende che accettano asset digitali sotto forma di pagamento sono infatti tenute a versare l’imposta sul reddito ad esse collegata.
Questa situazione, però, potrebbe ben presto diventare un semplice ricordo del passato. Fernando Medina, responsabile delle Finanze all’interno della compagine governativa, ha infatti provveduto ad annunciare, proprio di recente, la sua intenzione di sottoporre all’imposta gravante sulle plusvalenze Bitcoin e Altcoin.
Indice:
Il tema della tassazione crypto è sempre più attuale, anche in Italia
Anche in Italia il tema della tassazione sulle criptovalute è ormai all’ordine del giorno. A mettercelo è stata la presentazione di una proposta di legge da parte di Elena Botto, transfuga del Movimento 5 Stelle ora al Gruppo misto, nella quale sono state recepite le istanze delle varie pronunce dell’Agenzia delle Entrate nel corso degli ultimi anni.
Il suo Ddl afferma in pratica che ai Bitcoin e alle altre monete virtuali deve essere applicato lo stesso regime fiscale in vigore per le valute estere, a condizione che abbiano dato luogo ad un controvalore di almeno 51.645,69 euro, per non meno sette giorni lavorativi di seguito. Nel caso in cui riescano a conseguire il traguardo, l’aliquota fiat da versare sarà pari al 26% del totale movimentato.
Per evitare che la mancata denuncia del loro possesso nel corso degli anni precedenti vada ad innescare confusione, il provvedimento ha anche previsto una sanatoria, del resto tradizionale nel nostro Paese. Coloro i quali non hanno ottemperato all’obbligo nel corso degli anni passati potranno regolarizzare la propria posizione versando una tassa tra l’8 e il 10% del totale posseduto.
Le zone franche sono destinate ad essere sempre di meno
Proprio quanto sta accadendo in Portogallo e in Italia sembra confermare una tendenza in atto sempre più evidente, quella tesa a fornire un quadro di leggi e regolamenti tale da non lasciare zone franche in cui i possessori di criptovaluta possano sottrarsi ad obblighi fiscali del tutto legittimi. Provvedimenti considerati in grado di incanalare gli asset virtuali in modo da impedirgli di esondare e fare danni come quelli con cui si ritrovano in questi giorni a fare i conti coloro che avevano investito nella stablecoin Terra.
Basta in effetti vedere l’attivismo il quale sembra avere improvvisamente colpito molti governi nazionali, a partire dagli Stati Uniti, ove l’ordine esecutivo rilasciato da Joe Biden ha non solo proclamato il rilievo strategico degli asset virtuali, ma anche dato il via alla corsa per il varo di leggi in tal senso. Una gara cui si è prontamente iscritta la California, con un ordine esecutivo emanato dal governatore Gavin Newsom, che riprende in sostanza quello del governo federale.
In questa tendenza occorre anche ricordare l’evocazione di una Autorità mondiale per il settore, da parte di Ashley Alder, presidente di IOSCO (International Organization of Securities Commissions) e numero uno della Securities and Futures Commission di Hong Kong.
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