Il Ministro delle finanze francese, Bruno Le Maire, è tornato sulla questione del tentativo russo di sfuggire alle sanzioni utilizzando criptovalute, affermando in buona sostanza che l’Unione Europea è intenzionata ad impedire questa via di fuga a Vladimir Putin.

Non ha però specificato come l’UE intende mettere in pratica questo proposito. Gli interrogativi in tal senso sono in effetti molti, anche alla luce di un dibattito iniziato da anni, relativo al potenziale del denaro virtuale in tema di spostamento di risorse rendendone impossibile il tracciamento.

Si tratta in effetti di una possibilità non proprio remota. Tanto da aver spinto il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, nel mese di ottobre, a pubblicare un rapporto in cui si affermava che gli asset digitali erano in grado di indebolire la forza di un eventuale regime sanzionatorio deciso dal governo di Washington e dai suoi partner. Un monito che è tornato naturalmente ad echeggiare in queste ore.

È realmente possibile controllare le criptovalute?

La domanda che si pongono in molti, in queste ore, è se sia realmente possibile controllare Bitcoin e Altcoin al fine di impedirne l’utilizzo da parte della Russia per sfuggire alle sanzioni. Si tratta di una domanda che assume una valenza molto rilevante, anche alla luce di quanto affermato nel corso degli anni. Basterebbe in effetti ricordare le parole di Janet Yellen, Segretario al Tesoro dell’amministrazione Biden, pronunciate nel corso di una audizione parlamentare, per capire meglio la questione.

All’epoca, infatti, la Yellen non esitò ad affermare la pericolosità del denaro virtuale proprio in considerazione dei profili di anonimato ad esso associati. Si tratta però di tesi che, almeno se riferite a Bitcoin, non sembrano avere alcun fondamento, almeno sulla carta.

A tal proposito occorre infatti ricordare quanto sostenuto da sempre dalla Bitcoin Foundation, secondo la quale non esisterebbe metodo di trasferimento del denaro più tracciabile della creazione di Satoshi Nakamoto. A renderlo tale sarebbe proprio l’intangibilità dei dati inseriti all’interno della blockchain. Grazie ai quali è possibile associare ogni transazione ad un wallet di partenza e ad una di arrivo.

La questione delle Privacy Coin

Se, però, BTC non sembra un mezzo ideale per sottrarre ai radar le risorse di cui si intende impedire il tracciamento, ci sono altri token che sembrano molto più adatti alla bisogna. Il riferimento è naturalmente alle cosiddette Privacy Coin. Ovvero le monete virtuali che fanno della riservatezza, spinta sino all’anonimato, la propria forza.

Nel novero vanno compresi asset come Monero, Dash e Zcash, ma non solo. Non a caso utilizzati con sempre maggior frequenza nelle transazioni che avvengono sul Dark Web, ovvero la parte di Internet in cui avvengono i traffici illegali di stupefacenti, armi e esseri umani.

Per capire meglio l’allarme che questi token riescono a provocare, basterà ricordare che nel 2020 l’Internal Revenue Service (IRS) degli Stati Uniti ha offerto una ricompensa pari a 625 mila dollari a chiunque si fosse dimostrato in grado di scardinare il meccanismo su cui si fonda Monero (XMR). A intascare la taglia sono state due aziende, Integra FEC e Chainalysis.

Nel frattempo, però, anche altre aziende del settore hanno portato avanti le proprie ricerche tese a garantire l’anonimato. Con risultati che sembrano in grado di assicurarlo. Resta da capire se il governo russo, intenzionato a utilizzare denaro virtuale per smontare le sanzioni, non stia pensando ad esse, piuttosto che a Bitcoin, Ethereum o altra crypto più tradizionale.

L’appello dell’Ucraina agli exchange di criptovaluta

In un quadro sostanzialmente ancora confuso, si è anche andato a inserire l’appello dell’Ucraina nei confronti degli exchange di criptovalute. Il governo di Kiev, per voce del suo vice primo ministro ucraino Mykhailo Fedorov, ha infatti chiesto di bloccare i conti facenti riferimento a utenti russi.

La risposta arrivata da più parti è stata però raggelante. In particolare è stato il CEO di Kraken, Jesse Powell, ad affermare l’enormità di una richiesta simile. Affermando con un certo spirito caustico che, nel caso in cui si decidessero sanzioni nei confronti di Paesi impegnati in conflitti militari ingiusti, anche gli utenti statunitensi potrebbero vedersi bloccare i conti.

Una risposta condivisa del resto da Binance, tanto da provocare una risposta di Hilary Clinton, ex candidata democratica sconfitta nella corsa alla Casa Bianca da Donald Trump. L’ex first lady ha infatti affermato, proprio nel corso delle ultime ore, la sua delusione per l’atteggiamento degli scambi crypto.

Lo ha fatto nel corso di una intervista rilasciata al The Rachel Maddow Show su MSNBC, in cui la Clinton ha chiesto nuovamente il blocco dei conti riferiti ai clienti russi. Una posizione la quale, però, sembra non avere alcun fondamento. Per poterlo fare Kraken, Binance e Coinbase, altra piattaforma che si è tirata fuori, devono avere basi legali che, al momento, non sussistono.

Lo ha invece fatto Whitebit, una struttura però abbastanza trascurabile. In una situazione molto fluida, si è pronunciato al riguardo Tom Keatinge, direttore fondatore del Center for Financial Crime and Security Studies e del Royal United Services Institute. Secondo il quale la questione si ridurrebbe ad un semplice problema di reputazione, quella che verrebbe danneggiata dall’aver facilitato l’evasione delle sanzioni da parte della Russia.

Lo stesso Keatinge ha poi velatamente minacciato gli exchange, affermando che potrebbero perdere l’accesso alle banche occidentali per questo. Ove però lo facessero, colpendo peraltro in maniera indiscriminata persone che magari potrebbero essere a tutti gli effetti oppositori di Putin, gli scambi potrebbero perdere la fiducia della clientela. Andando infine a dimostrare che l’asserita decentralizzazione vanto del settore non sarebbe altro che una teoria.

Il rapporto del Dipartimento del Tesoro USA

Come abbiamo ricordato all’inizio, già nel mese di ottobre del passato anno il Dipartimento del Tesoro statunitense ha pubblicato un rapporto che affronta il problema della possibile utilizzazione degli asset digitali da parte di chi intende sottrarsi alle sanzioni.

Un rapporto reso attuale anche dal fatto che al momento gli Stati Uniti applicano queste misure coercitive ad oltre 9mila soggetti. Alcuni di questi, in effetti, già da tempo si sono attivati per bypassare le difficoltà in tal senso. Si pensi ad esempio al Venezuela, che ha introdotto una criptovaluta di Stato, il Petro, garantita dalle risorse minerarie e petrolifere del Paese.

Il rapporto in questione, dopo aver ammesso la possibilità che gli asset virtuali possano rappresentare una notevole via di fuga, ha raccomandato al governo di investire nella modernizzazione del regime sanzionatorio del Tesoro.

Un tema cui, però, dovrebbe essere affiancato anche quello relativo al ransomware. Non a caso, infatti, l’amministrazione Biden ha mostrato molta attenzione ai rischi posti per la sicurezza nazionale posti da un utilizzo distorto del fintech.

In particolare è stata spinta a farlo dagli attacchi ransomware contro Colonial Pipeline e l’azienda di lavorazione della carne JBS , a seguito dei quali il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) ha annunciato l’intenzione di elevare questa pericolosa pratica a un livello di priorità analogo al terrorismo. Anche perché gli obiettivi potrebbero presto diventare quelli di rilevanza strategica per il Paese.

Un proposito ilquale potrebbe presto tornare d’attualità, considerato come siano in molti a paventare l’utilizzo del ransomware da parte del governo di Mosca in quella che si preannuncia una vera e propria guerra cibernetica con gli specialisti ucraini e occidentali. Una guerra che potrebbe rivelarsi altrettanto importante di quella combattuta sul campo.

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