Blue Origin ha finalmente scoperto le carte sul futuro del suo razzo New Glenn, delineando una roadmap che, come spesso accade quando l’azienda decide di esporsi pubblicamente, arriva puntuale a pochi giorni dal successo del secondo lancio del booster. L’aggiornamento, pubblicato sul sito ufficiale e subito rilanciato da fonti vicine al programma, svela una serie di miglioramenti che interessano praticamente ogni sezione del velivolo: dai motori alle strutture, dalla riutilizzabilità alle operazioni di recupero. Il tutto accompagnato da un cambio di passo evidente sotto la guida del CEO Dave Limp, che da quasi due anni sta imprimendo una visione più produttiva e meno accademica alla compagnia.

Prima di addentrarci nei dettagli tecnici vale la pena ricordare il contesto: New Glenn è già oggi uno dei più grandi razzi commerciali mai costruiti, ma Blue Origin è finalmente pronta a spingersi oltre, introducendo un’evoluzione in grado di avvicinare le prestazioni del velivolo a quelle degli heavy-lift più iconici della storia; non sorprende dunque che gli appassionati stiano seguendo con particolare attenzione questa nuova fase del programma.

Un New Glenn più potente già dal terzo volo

I primi aggiornamenti arriveranno presto, a partire dalla missione NG-3, prevista nella prima metà del 2026, New Glenn inizierà a volare con motori BE-4 e BE-3U potenziati: i sette BE-4 del primo stadio beneficeranno di un aumento complessivo della spinta, che passerà da 3,9 a 4,5 milioni di libbre grazie all’adozione di propellenti criogenici superraffreddati. In termini pratici, ogni BE-4 arriverà a 640.000 libbre di spinta entro fine anno (contro le 550.000 attuali), con un margine già dimostrato sul banco di prova a 625.000 libbre.

Un discorso simile vale per il secondo stadio, i due BE-3U cresceranno da 320.000 libbre previste inizialmente a 400.000 libbre, anch’esse convalidate in test statici. Questo incremento, apparentemente graduale, si tradurrà in capacità di carico migliorate per tutte le missioni, comprese quelle verso la Luna e oltre; è un dettaglio tutt’altro che banale perché molti clienti, soprattutto istituzionali, richiedono margine extra proprio per missioni deep-space o payload particolarmente complessi.

Accanto alla propulsione arrivano altri ritocchi non meno importanti, come una carenatura riutilizzabile più resistente, un sistema termico aggiornato per ridurre i tempi di turnaround del booster e serbatoi riprogettati con un’attenzione particolare ai costi. Particolarmente interessante l’uso di scudi termici riutilizzabili, una scelta che va nella direzione di ridurre i tempi di ristrutturazione tra un volo e l’altro e aumentare la cadenza di lancio.

Capacità e carichi utili da record per il nuovo New Glenn 9×4

La novità più attesa però, riguarda la nuova variante New Glenn 9×4, destinata a diventare il veicolo di riferimento per missioni che richiedono prestazioni elevatissime. Il nome deriva dalla configurazione: nove BE-4 al primo stadio e quattro BE-3U al secondo, numeri che avvicinano il booster alla classe dei razzi super pesanti, una categoria popolata da pochissimi mezzi operativi.

Secondo Blue Origin il nuovo 9×4 sarà in grado di portare oltre 70 tonnellate in orbita terrestre bassa, più di 14 tonnellate in orbita geosincrona e oltre 30 tonnellate su traiettoria translunare; non solo, sarà dotato di una nuova carenatura da 8,7 metri, più grande dell’attuale, pensata per ospitare payload voluminosi come segmenti di stazioni spaziali, moduli lunari o componenti di mega-costellazioni.

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L’azienda non si è sbilanciata su una data precisa per il debutto del nuovo razzo, ma una fonte interna suggerisce che il primo lancio della versione 9×4 potrebbe avvenire già nel 2027. Un tempismo sorprendente se si considera la complessità del progetto, ma coerente con la strategia dichiarata: grazie al design iterativo del veicolo 7×2 (l’attuale versione del New Glenn) lo sviluppo può procedere in modo modulare e, almeno nelle intenzioni, più rapido.

A colpire è anche il confronto economico, con una capacità quasi paragonabile a quella dello Space Launch System della NASA, il nuovo New Glenn 9×4 costerebbe probabilmente meno di un decimo dei circa 2,2 miliardi stimati per ogni lancio dell’SLS; una differenza che, da sola, dice molto di come potrebbe cambiare il panorama del trasporto orbitale nei prossimi anni.

Due varianti, una strategia comune

Blue Origin ha confermato che le versioni 7×2 e 9×4 voleranno in parallelo, una scelta che mira a offrire ai clienti più flessibilità nell’assegnazione delle missioni: dalle mega costellazioni alle missioni lunari, passando per carichi utili nazionali ad alta priorità come il programma Golden Dome. Affiancare due veicoli permette anche di ottimizzare la produzione, scalare la cadenza di lancio e gestire in modo più efficiente i calendari delle missioni, evitando colli di bottiglia operativi.

Nel frattempo, l’azienda continua a lavorare su tecnologie complementari, come un aerofreno dispiegabile su larga scala pensato per l’atterraggio di carichi pesanti su Marte o per il rientro controllato di payload dalla Luna; un progetto che, in prospettiva, potrebbe aprire la strada a missioni robotiche più ambiziose e a soluzioni alternative per il recupero di materiale scientifico.

L’impressione generale è che Blue Origin abbia finalmente premuto sull’acceleratore, merito del cambio di cultura introdotto da Dave Limp, che ha sostituito Bob Smith dopo anni di lentezza operativa nonostante i massicci investimenti di Jeff Bezos. Limp, arrivato direttamente da Amazon, sta spingendo per una transizione da azienda di ricerca e sviluppo ad azienda di produzione e sviluppo spaziale, con obbiettivi più concreti e tempistiche più stringenti.

I risultati iniziano a vedersi, due lanci del New Glenn in poche settimane, annunci in rapida sequenza, piani chiari e soprattutto test e dimostrazioni che mostrano un velivolo sempre più maturo; ovviamente non siamo ancora al traguardo, come lo stesso CEO ha precisato, ma la direzione intrapresa sembra finalmente quella che molti osservatori aspettavano da anni. Se Blue Origin manterrà questa velocità, il futuro del trasporto spaziale potrebbe diventare molto più competitivo di quanto immaginato finora.