Nel grande universo delle coincidenze che diventano virali, poche storie sono iconiche quanto quella di Sam Sung, l’ex dipendente Apple che nel 2012 finì suo malgrado sotto i riflettori globali semplicemente per il suo nome; una vicenda che oggi, a oltre dieci anni di distanza, torna a far parlare di sé non tanto per la curiosità iniziale, quanto per ciò che è successo dopo e per come quel momento Internet abbia effettivamente cambiato la vita del protagonista.

Molti ricorderanno la fotografia del biglietto da visita: logo Apple in alto, ruolo di Specialist e, Sam Sung; la notizia rimbalzò sui forum e su Reddit (che il diretto interessato non conosceva nemmeno), trasformando un dipendente retail in un fenomeno virale istantaneo, in un periodo in cui diventare virali non era ancora la dinamica quotidiana che conosciamo oggi.

Il dietro le quinte di Sam Sung, il protagonista di uno dei meme più famosi del web

Come spesso accade quando qualcosa esplode online, il tono ironico del meme nascondeva un lato umano tutt’altro che leggero; Straun, che allora portava ancora il cognome Sung, racconta di aver temuto seriamente il licenziamento, soprattutto perché si era appena trasferito in Canada e si trovava agli inizi della carriera.

Apple intervenne immediatamente, niente più biglietti da visita, identità coperta in negozio e contatti con i giornalisti gestiti con estrema cautela per evitare ulteriori amplificazioni.

Col tempo la situazione si sgonfiò, ma non senza lasciare un segno: l’esperienza spinse Sam a cambiare cognome, non per marketing, non per moda, ma per ritornare padrone della propria identità in un contesto in cui il meme rischiava di diventare più ingombrante della persona.

sam sung apple meme

Nel 2014, già lontano da Apple e impegnato nella sua nuova carriera nel recruiting, Sam decise di dire addio a Sung scegliendo il cognome Straun, ispirato a uno dei suoi luoghi preferiti in Scozia.

La scelta, spiega oggi, fu dettata non solo dal desiderio di voltare pagina, ma anche da un tema di rappresentazione professionale; costruire un profilo LinkedIn credibile con un nome associato a un marchio globale era diventato complicato, se non controproducente.

C’è anche un altro elemento più sottile ma centrale, il timore della discriminazione legata a nomi non anglicizzati, un tema tutt’ora molto discusso in contesti lavorativi internazionali. Guardando indietro, Sam ammette che forse avrebbe voluto affrontare quel momento con più leggerezza, senza farsi travolgere dall’ansia.

Paradossalmente, l’epilogo più positivo arrivò proprio sfruttando quella notorietà, nel 2014 mise all’asta il suo biglietto da visita, insieme a parte della vecchia uniforme Apple, devolvendo l’intero ricavato in beneficienza; l’asta superò i 2.500 dollari e contribuì a una grande raccolta per Children’s Wish, dimostrando che anche un caso virale nato per ridere può trasformarsi in qualcosa di utile e concreto.

Riguardata a distanza di tredici anni, la vicenda di Sam è molto più di una curiosità da social, è un esempio perfetto di come internet possa ridefinire l’immagine di una persona nel giro di poche ore, anche quando questa non ha fatto nulla di intenzionale per cercare visibilità.

In un certo senso, è una storia che oggi suona quasi profetica rispetto al mondo attuale, dove il confine tra individuo e immagine pubblica è sempre più labile, e dove un nome o un dettaglio apparentemente banale può diventare un’etichetta permanente.