Jamie Siminoff, fondatore di Ring, è tornato a guidare la società con un obiettivo ambizioso: portare il livello di sicurezza domestica a un punto in cui i crimini di quartiere possano “quasi azzerarsi” grazie all’intelligenza artificiale.

Nel corso di un’intervista rilasciata a The Verge, Siminoff ha illustrato la sua visione in occasione dell’uscita del suo libro “Ding Dong: The Untold Story of How Ring Went From Shark Tank Reject to Everyone’s Front Door”.

Secondo il fondatore, le nuove tecnologie di analisi e sorveglianza basate su AI rappresentano la chiave per realizzare finalmente la missione originaria di Ring: “rendere i quartieri più sicuri”.

Il fondatore di Ring racconta ambizioni future e fallimenti nel proprio libro

Siminoff sostiene che, con un numero sufficiente di videocamere e un’intelligenza artificiale evoluta, si possa ridurre drasticamente la criminalità locale:

“Non fermeremo mai il crimine al cento per cento, ma credo che nei quartieri normali, con la giusta quantità di tecnologia e AI, potremo avvicinarci molto. Forse entro 12 mesi, non dieci anni”.

Il fondatore si riferisce in particolare a Search Party, una nuova funzione che utilizza l’AI per analizzare in modo automatico i filmati provenienti dalle videocamere dei vicini, utile ad esempio per ritrovare animali domestici smarriti o individuare movimenti sospetti.

Il fondatore di Ring svela la propria ambizione di azzerare la criminalità nei quartieri grazie all’AI 4

Il ritorno alle collaborazioni con le forze dell’ordine

Negli anni, Ring è stata spesso criticata per le sue partnership con le autorità di polizia, che permettevano agli agenti di richiedere filmati registrati dai dispositivi privati dei cittadini.

L’ex CEO, Liz Hamren, aveva ridotto queste collaborazioni per mitigare le polemiche e rassicurare gli utenti, ma Siminoff, tornato ora al comando, ha annunciato la volontà di riattivare e ampliare i rapporti con le forze dell’ordine, introducendo anche nuovi strumenti di condivisione.

Il sistema “community request”, già in sperimentazione in alcune città statunitensi, consente infatti alla polizia di inviare richieste anonime di video agli utenti di Ring che abitano nelle vicinanze di un evento.

A tal proposito, Siminoff respinge le critiche di chi parla di rischio sorveglianza diffusa:

“Credo profondamente che si possa usare la tecnologia per essere più sicuri senza rinunciare alla privacy. Le due cose possono coesistere. Le cosiddette ‘controversie’ sono solo disinformazione: non c’è nulla di problematico nel chiedere in modo anonimo un video a un cittadino”.

Tuttavia, molte associazioni per la tutela dei diritti civili non sono d’accordo, e continuano a denunciare il rischio di creare una rete di sorveglianza privata di fatto accessibile alle autorità pubbliche, con implicazioni rilevanti per la libertà individuale.

Tra fallimenti e i successi con Ring

L’occasione di questa intervista, come anticipato in apertura, è la pubblicazione del proprio nuovo libro in cui Siminoff racconta il lungo percorso che ha portato Ring a diventare uno dei marchi più conosciuti nel settore della sicurezza domestica.

Tutto nasce nel 2011, quando l’imprenditore si stanca di perdere le consegne dei pacchi. Da quell’esigenza nasce DoorBot, il primo prototipo di videocitofono connesso, capace di inviare notifiche sullo smartphone.

Dopo il rifiuto pubblico nel popolare programma Shark Tank e una serie di difficoltà tecniche e finanziarie, DoorBot evolve in Ring, trasformandosi in un’azienda capace di attirare l’attenzione di Amazon.

Il colosso di Jeff Bezos acquistò Ring nel 2018 per circa un miliardo di dollari, portando la startup a un livello industriale globale.

Il fondatore di Ring svela la propria ambizione di azzerare la criminalità nei quartieri grazie all’AI 5

Siminoff non nasconde gli errori del passato e ammette che molte delle decisioni prese “di impulso” hanno quasi distrutto la sua impresa.

Nel libro racconta, ad esempio, come nel 2017 uno scontro con ADT, azienda di domotica allora in causa con Ring per presunta violazione di brevetti, rischiò di far crollare tutto.

Il motivo fu una sua risposta impulsiva durante una telefonata con un dirigente della società che, spiega oggi, inasprì il conflitto e portò a un’ingiunzione che bloccò le vendite del nuovo sistema Ring Alarm, mettendo a rischio un imminente tornata di finanziamenti e la stessa offerta di acquisto di Amazon.

“In un solo giorno è saltato tutto, per colpa mia. Avevamo dieci milioni di dollari sul tavolo e un accordo con Amazon in corso, e li ho mandati all’aria con una risposta stupida”.

Ring si salvò solo grazie a un accordo extragiudiziale con ADT, che accettò un risarcimento di 25 milioni di dollari, permettendo all’azienda di tornare in pista e completare l’intesa con Amazon.

Il Natale che salvò DoorBot, e le sfide del futuro

Un altro episodio emblematico, raccontato nel libro, risale al 2013, quando la prima produzione di DoorBot rischiò di trasformarsi in un disastro.

A pochi giorni dal Natale, il team scoprì che tutte le videocamere spedite ai clienti mostravano gravi difetti nel segnale video. Senza soldi per rimborsare gli ordini, la bancarotta sembrava inevitabile.

Solo un intervento notturno del CTO Mark Dillon, che trasferì i server da una piattaforma gratuita a una a pagamento, risolse in modo inspiegabile il problema.

“Non abbiamo mai capito cosa avesse realmente cambiato, ma il giorno dopo tutto funzionava. Se avessimo controllato prima, avremmo rinviato le spedizioni e probabilmente saremmo falliti.”

Oggi, Siminoff afferma di essere intenzionato a spingere Ring verso una nuova fase di espansione, puntando sull’AI per migliorare il controllo dei quartieri e avvicinarsi idealmente a quel traguardo dei zero crimini.

Una prospettiva che divide l’opinione pubblica tra chi vede nella tecnologia un alleato della sicurezza e chi teme una società sempre più sorvegliata e dipendente dai dati, distopia a cui ci stiamo avvicinando rapidamente.

Il libro “Ding Dong!” sarà disponibile ovunque dal 10 novembre in vari formati.