Tesla sembra orientata a dare sostanza alle attenzioni ambientaliste esplicitate da Elon Musk nel passato. Per farlo ha dato vita ad una collaborazione con Block (ex Square) e Blockstream, tesa alla realizzazione di una struttura per il mining di Bitcoin in Texas, alla cui alimentazione provvederanno l’array fotovoltaico solare da 3,8 megawatt e il Megapack da 12 megawattora dell’azienda.

Le aziende coinvolte nell’operazione hanno annunciato che il progetto è già in fase di realizzazione. Una volta che l’impianto sarà stato completato, si sono anche impegnate a pubblicare regolarmente rapporti sulle prestazioni conseguite con il preciso intento di dimostrare come l’alimentazione del mining di criptovalute tramite energia rinnovabile sia in grado di rivelarsi vantaggiosa in termini ambientali e finanziari.

Le preoccupazioni ambientali di Elon Musk

La notizia in questione va in pratica a confermare le preoccupazioni di Elon Musk per l’impatto che il mining di criptovalute, e di Bitcoin in particolare, può avere sull’ambiente. I timori in questione avevano spinto negli ultimi mesi il numero uno di Tesla a tornare sui propri passi dopo aver deciso di permettere i pagamenti in BTC delle proprie vetture.

A spingerlo in tal senso i continui rapporti sulla questione, i quali avevano dimostrato al di là delle possibili divergenze in termini puramente numerici come l’attività di estrazione dei blocchi condotta con il ricorso all’algoritmo di consenso Proof-of-Work sia al momento estremamente dannoso per la tenuta ambientale.

Una prima iniziativa per cercare di ovviare alla problematica si era concretizzata dando un rilevante apporto al varo del Bitcoin Mining Council, associazione che riunisce operatori del mining accomunati dalla stessa preoccupazione. Musk non aveva avuto alcun ruolo di rilievo al suo interno, facendo però capire di essere intenzionato a dare un contributo in grado di attenuare l’impatto delle attività in questione.

Con questa struttura, Tesla sembra però intenzionata a mettere in pratica quelle che in precedenza potevano essere considerate semplici enunciazioni teoriche, destinate quindi a lasciare il tempo che trovano. L’utilizzo di fonti rinnovabili per l’industria legata al Bitcoin può in effetti contribuire non poco a dissipare i tanti timori cresciuti nel corso degli anni.

Una prima risposta ai legislatori

La struttura texana sembra anche una risposta diretta a quanto sta avvenendo in Europa, ove il mining basato sul meccanismo di consenso Proof-of-Work è apertamente in stato di accusa. A guidare la fazione di coloro che vorrebbero addirittura bandirlo dal continente sono i Paesi del blocco nordico, a partire dalla Svezia. L’Islanda, dal canto suo, ha addirittura provveduto a negare l’energia necessaria alle mining farm, accusate di essere non solo energivore, ma anche dannose, preferendo destinarla a produzioni reputate più necessarie.

Anche a livello di Unione Europea il mining basato su PoW continua ad essere visto con notevole fastidio. Se nel corso della discussione sulla normativa Markets in Crypto Assets (MiCA) è stato per ora stralciata la parte relativa ad esso, ciò non toglie che in futuro i detrattori potrebbero riuscire a convincere il resto del gruppo sulla necessità di un bando. Proprio per questo motivo l’iniziativa di Tesla sembra arrivare nel momento più opportuno, cercando di togliere argomenti ai detrattori del mining di Bitcoin.

Non solo mining

Le notizie relative alla struttura per il mining vanno peraltro ad accavallarsi in queste ore a quelle relative all’intenzione espressa dallo stesso Elon Musk di entrare nel settore dell’estrazione e della raffinazione del litio direttamente e su larga scala. A spingere Tesla in tale direzione sarebbe in particolare il costo ormai raggiunto dal metallo, notoriamente un componente chiave nella produzione di batterie.

È stato proprio il CEO e fondatore dell’azienda a esprimersi in tal senso su Twitter, affermando che a spingere in alto i prezzi non è la carenza di metallo sul pianeta, bensì i ritmi di estrazione troppo lenti. A conferma del suo giudizio sui prezzi, occorre ricordare che secondo Benchmark Mineral Intelligence il costo del litio sarebbe aumento del 480% nel corso degli ultimi dodici mesi.

Per capire meglio i termini della questione occorre sottolineare come in molte parti degli Stati Uniti sarebbero dislocati giacimenti di litio. A sostenerlo è l’US Geological Survey, una divisione del Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti.

In particolare, l’impiego di litio è in grado di risultare prezioso nelle batterie dei veicoli elettrici in quanto rappresenta non solo il metallo più leggero, ma anche e l’elemento solido meno denso. Caratteristiche le quali consentono alle batterie che vedono il suo impiego di raggiungere un elevato rapporto tra peso e potenza, estremamente importante soprattutto in termini di trasporto.

Il tweet pubblicato non rappresenta una vera primizia in tema di litio. L’idea che Tesla potesse pensare direttamente all’estrazione del litio necessario alla propria produzione era infatti già stata esplicitata in precedenza da Musk.

Nel 2020, inoltre, l’azienda era passata alle vie di fatto, assicurandosi i diritti per l’estrazione di litio in Nevada. Una notizia arrivata al termine di un periodo in cui si erano sprecate le teorie complottiste che volevano Elon Musk implicato nell’organizzazione del golpe militare in Bolivia che aveva portato alla destituzione di Evo Morales e alla formazione di una giunta poi sfrattata alle successive elezioni presidenziali.

Lo stesso Morales aveva apertamente accusato il CEO di Tesla e una società tedesca che opera nel settore del litio, ACI System. Accusa cui incautamente Musk aveva risposto con un tweet in cui affermava “Facciamo colpi di stato dove vogliamo”. Il messaggio, con tutta evidenza ironico, era poi stato rimosso e la questione si era andata sgonfiando, anche perché Tesla si approvvigiona in Australia.

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