La mattinata odierna, intorno alle 04:00 ora locale nel sud del Texas, ha segnato una battuta d’arresto significativa nel programma Starship di SpaceX; il primo booster della nuova generazione, la cosiddetta Starship V3, ha subito un’esplosione (o come ipotizzato da alcuni osservatori un’implosione) durante un test di pressione dei sistemi di gas, causando gravi danni alla metà inferiore del razzo. Un evento che, per quanto avvenuto in assenza di personale sul posto e dunque senza feriti, solleva diversi interrogativi sul ritmo dei progressi dell’azienda in vista di un 2026 che si preannuncia estremamente intenso.

È stata la stessa SpaceX a confermare, con un posto su X (ex Twitter) che l’esplosione è avvenuta durante un test di pressione del sistema di gas, un tipo di verifica preliminare che precede le prove con propellenti criogenici; l’incidente ha danneggiato in modo evidente l’intero lato inferiore del booster, lasciando invece intatta la parte superiore della struttura. Rispetto alle classiche palle di fuoco viste in passato durante lo sviluppo delle prime Starship, questa volta l’evento è apparso diverso nella dinamica e soprattutto nella fase in cui si è verificato; al momento dell’esplosione non erano ancora installati i 33 motori Raptor.

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Una battuta d’arresto significativa per Starship V3

Il booster coinvolto, Booster 18, era stato portato al Massey Test Site appena il giorno prima, si tratta del primo stadio della nuova generazione di Starship, il primo esemplare della Versione 3, che avrebbe dovuto introdurre una lunga serie di modifiche ingegneristiche destinate a migliorare affidabilità, resistenza strutturale e prestazioni complessive del razzo.

Parliamo di un hardware pensato per fare molto più della singola missione, SpaceX vuole infatti dimostrare il riutilizzo completo dei booster, testare la cattura dello stadio superiore con la torre di lancio, avviare le missioni operative Starlink di nuova generazione, e soprattutto portare Starship verso i test di rifornimento orbitale richiesti dalla NASA per il programma Artemis.

E qui emerge uno dei punti più delicati: per mantenere in carreggiata il piano che dovrebbe culminare con l’allunaggio con equipaggio nella seconda metà del 2028, SpaceX deve dimostrare (idealmente entro il 2026) la capacità di trasferire propellente in orbita utilizzando una versione cisterna della Starship; ogni ritardo nelle fasi preliminari rischia dunque di avere un impatto a catena sui successivi step di sviluppo.

Pur trattandosi di un evento distruttivo, l’incidente appare meno violento rispetto a quello avvenuto a giugno, quando uno stadio superiore esplose in modo più significativo causando danni ingenti all’infrastruttura di prova. In questo caso le immagini mostrano un accartocciamento evidente della sezione inferiore, in corrispondenza del grande serbatoio di ossigeno liquido; l’infrastruttura di Massey sembra aver riportato danni più contenuti, circostanza che rappresenta quantomeno un piccolo sollievo per l’azienda.

Mentre SpaceX si trova ad affrontare questa battuta d’arresto la pressione esterna aumenta, Sean Duffy, amministratore facente funzioni della NASA, ha criticato pubblicamente il ritmo dei progressi del programma Starship relativo alla missione lunare, sottolineando che l’agenzia potrebbe valutare un maggior coinvolgimento di Blue Origin. L’azienda di Jeff Bezos del resto, sta vivendo settimane molto positive, ha lanciato con successo per la seconda volta il suo razzo New Glenn, portando in orbita il primo carico utile commerciale per la NASA e recuperando con successo il booster; Blue Origin ha anche presentato un progetto ancora più grande per la versione potenziata del suo razzo, pensato per competere più direttamente con l’enorme vettore di SpaceX.

La concorrenza insomma non potrebbe essere più serrata, e ogni esitazione rischia di amplificarsi in un quadro in cui la NASA sta valutando alternative concrete per garantire la tempistica delle missioni Artemis.

SpaceX ha costruito negli anni una reputazione fondata sulla rapidità di iterazione: test, errore, correzione, nuovo test. Più volte l’azienda ha dimostrato di essere in grado di recuperare rapidamente dopo guasti anche ben più gravi, tornando a volare nel giro di settimane; è dunque verosimile aspettarsi che i tecnici stiano già analizzando in dettaglio i dati dell’incidente e che, come sempre, il processo porterà a nuove modifiche e ottimizzazioni.

Tuttavia, è impossibile ignorare il peso simbolico e operativo della perdita del primo booster V3 in una fase così iniziale della campagna di test, gli utenti dovranno dunque pazientare ancora per scoprire se SpaceX riuscirà davvero a mantenere il ritmo serrato richiesto dal programma Artemis e dai propri stessi obbiettivi per il 2026, anno che l’azienda ha definito più volte come decisivo per il futuro di Starship.

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