La notizia era nell’aria da mesi e, come spesso accade in questi casi, i primi segnali erano arrivati da altri operatori del settore; dopo Aruba, InfoCert e Register.it, anche Poste Italiane (che da sola gestisce oltre il 70% delle identità digitali SPID tramite il servizio PosteID) starebbe valutando l’introduzione di una tariffa annuale di 5 euro. Una scelta che, se confermata, cambierebbe radicalmente il rapporto tra cittadini e identità digitale, ponendo fine alla lunga stagione della gratuità.
Anche Poste Italiane valuta l’introduzione dello SPID a pagamento
Per capire come si sia arrivati a questa svolta occorre fare un passo indietro, Aruba per prima ha scelto una tariffa di 4,90 euro per il proprio SPID, InfoCert ha in seguito introdotto un canone di 5,98 euro (IVA inclusa) per il rinnovo annuale, mentre Register.it ha alzato ulteriormente il tiro introducendo un canone annuo di 9,90 euro; il motivo? Un modello economico che, dopo dieci anni di servizio gratuito, non regge più i costi di gestione, sicurezza e manutenzione, aggravati dall’incertezza dei finanziamenti pubblici.
Le convenzioni con lo stato infatti erano scadute già alla fine del 2022 e prorogate solo temporaneamente, i fondi previsti dal PNRR, circa 40 milioni di euro, sono arrivati con forte ritardo nel marzo di quest’anno, lasciando i gestori in una sorta di limbo. Anche adesso che le risorse sono state sbloccate, i provider hanno fatto capire di non voler tornare indietro, la gratuità non è più sostenibile, è il messaggio comune.
Se la mossa degli altri attori aveva un impatto rilevante, l’eventuale ingresso di Poste nel modello a pagamento avrebbe conseguenze ben più significative, con circa 20 milioni di identità digitali attive su un totale nazionale di poco superiore ai 28 milioni, PosteID rappresenta il vero cuore pulsante dello SPID. Un canone annuo di 5 euro, moltiplicato per questa base di utenti, significherebbe 100 milioni di euro di Ebit aggiuntivi, un dato che spiega quanto la scelta possa incidere sui conti dell’azienda guidata da Matteo Del Fante ma, al tempo stesso, pesare sulle tasche dei cittadini.
Finora proprio la gratuità del servizio SPID offerto da Poste aveva contenuto l’impatto della rivoluzione a pagamento, ma se anche il colosso pubblico dovesse cambiare rotta (e i segnali vanno in quella direzione) il passaggio diventerebbe di fatto inevitabile per la maggior parte degli utenti.
Questa transizione avviene in un momento in cui il governo sta già guardando oltre lo SPID, nei piani del sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, la Carta d’Identità Elettronica (CIE) è destinata a diventare la colonna portante dell’identità digitale nazionale, integrata nell’IT Wallet, l’app che raccoglie documenti come patente, tessera sanitaria e carta europea delle disabilità.
I numeri parlano chiaro, le attivazioni della CIE sono passate da 5,5 milioni nel maggio 2024 a 7,3 milioni nel maggio 2025, con un obbiettivo ambizioso fissato dal PNRR: entro giugno 2026, il 70% degli italiani dovrà disporre di un’identità digitale. Lo stesso IT Wallet, che già oggi consente la gestione automatica di alcuni servizi, rappresenta per il governo la strada verso uno Stato abilitante, capace di fornire servizi in modo proattivo e sicuro, senza ulteriori burocrazie.
Se l’ipotesi del canone di 5 euro all’anno dovesse concretizzarsi, chi possiede uno SPID rilasciato da Poste dovrà decidere se rinnovarlo a pagamento o migrare verso altre soluzioni, come appunto la CIE.
Chi utilizza SPID per l’accesso alla Pubblica Amministrazione dovrà dunque prepararsi a questa possibile evoluzione che segna la fine di un’era, quella di un’identità digitale gratuita e universale.
In attesa di conferme ufficiali da parte di Poste Italiane, appare evidente come i provider abbiano imboccato una strada senza ritorno, spinti da costi di gestione sempre più elevati e da un modello di finanziamento pubblico incerto; e mentre il governo spinge verso la CIE e l’IT Wallet come soluzioni di lungo periodo, lo SPID a pagamento potrebbe paradossalmente diventare il ponte necessario verso il futuro dell’identità digitale italiana.
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