Dopo settimane di indiscrezioni è arrivata la conferma che molti osservatori ritenevano ormai inevitabile, l’Europa ha deciso di archiviare il progetto di una tassa digitale sulle grandi aziende tecnologiche; si tratta di una svolta significativa che, di fatto, premia le pressioni del presidente statunitense Donald Trump e tutela i colossi digitali americani come Apple, Meta e Google, che rischiavano di dover versare miliardi di euro ogni anno per contribuire al prossimo bilancio dell’Unione.

Un passo indietro che arriva solo due mesi dopo la proposta iniziale e che si inserisce in un contesto geopolitico sempre più teso, dominato dalla ricerca di un accordo commerciale più favorevole con Washington e dalla necessità di finanziare il debito comune contratto per sostenere la ripresa post Covid.

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L’Europa dice addio alla tassa digitale sulle grandi aziende tecnologiche

Secondo un documento visionato da Politico, la Commissione Europea ha rimosso l’opzione dell’imposta digitale dal pacchetto di misure fiscali che saranno discusse nel quadro del bilancio settennale UE; la motivazione ufficiale non è stata comunicata, ma è lecito ritenere che si tratti di una mossa puramente tattica, destinata a evitare nuove tensioni con gli Stati Uniti.

Non è un mistero infatti che Donald Trump abbia minacciato tariffe punitive contro i partner commerciali, come contromisura per eventuali tasse su servizi digitali; in questo scenario, Bruxelles sembra aver scelto di preservare il dialogo con Washington, preferendo puntare su altre fonti di gettito meno controverse.

L’archiviazione della digital tax non significa che l’Unione Europea rinuncerà a finanziare il bilancio con risorse proprie, al contrario, la Commissione intende sostituirla con tre nuove imposte:

  • tassa sui prodotti del tabacco, che includerebbe sigarette tradizionali, sigari e probabilmente anche sigarette elettroniche e vaporizzatori; l’idea è di centralizzare a livello UE parte delle entrate che finora rimangono nella casse dei singoli Stati
  • tassa sui rifiuti elettronici, una misura che punta a responsabilizzare i produttori di apparecchiature elettroniche e generare fondi per il riciclo e la sostenibilità
  • tassa sulle grandi aziende UE, colpendo le società con un fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro

Queste tre imposte, secondo le prime stime, potrebbero portare tra i 25 e i 30 miliardi di euro all’anno, una cifra ritenuta necessaria per ripagare i debiti contratti con il Recovery Fund.

Accanto a queste nuove idee, la Commissione Europea intende confermare due vecchie proposte, la Carbon Border Tax (cioè una tassa alle frontiere per compensare la concorrenza sleale di prodotti importati da Paesi con standard ambientali più bassi) e la quota di partecipazione al gettito derivante dal sistema di scambio delle emissioni (ETS), che resterà in gran parte sotto il controllo dei governi nazionali.

Si tratta di misure potenzialmente divisive, paesi come la Svezia hanno già espresso contrarietà all’ipotesi di cedere entrate fiscali all’Unione Europea, mentre altre nazioni dell’Est temono che l’ETS possa penalizzare industrie e famiglie.

Ad ogni modo, la marcia indietro dell’Europa sulla digital tax si traduce in una vittoria politica netta per i giganti USA della tecnologia, che da anni si oppongono a qualsiasi forma di tassazione armonizzata a livello europeo; Apple, Meta, Google e Amazon potranno quindi continuare a operare nel Vecchio Continente senza il rischio immediato di nuovi oneri fiscali specifici.

Allo stesso tempo, questa scelta sottolinea come l’Europa sia ancora lontana da un consenso unanime sul tema della fiscalità digitale, un terreno che richiede equilibrio tra sovranità fiscale nazionale, esigenze di bilancio comunitario e relazioni internazionali sempre più complesse.

La proposta ufficiale della Commissione Europea sarà presentata nella giornata di domani, mercoledì 16 luglio, ma il percorso è tutt’altro che concluso; le nuove tasse dovranno essere approvate all’unanimità dai 27 Stati membri, un iter che potrebbe richiedere fino a due anni e negoziati serrati.

Non è escluso che nel frattempo la questione di una digital tax europea possa tornare d’attualità, magari come strumento di pressione o leva negoziale nei rapporti con Washington.