Microsoft è sul punto di operare una stretta per quanto riguarda il mining di criptovalute? In effetti non sembra una domanda azzardata alla luce della modifica apportata ai Termini del Prodotto il passato 1° dicembre, sulla quale proprio in queste ore si sta dibattendo con fervore.

L’aggiornamento in questione è il seguente: “Né il cliente, né coloro che accedono ad un servizio online tramite il Cliente, possono utilizzarlo… per estrarre criptovalute senza la previa autorizzazione scritta di Microsoft.”

Naturalmente la novità non ha mancato di seminare una certa preoccupazione tra le aziende le quali dedicano la propria attività al mining. Una preoccupazione del resto comprensibile alla luce della pessima fama che continua a zavorrare l’attività di estrazione delle criptovalute portata avanti con il meccanismo di consenso Proof of Work (PoW), accusato da più parti di essere insostenibile da un punto di vista ambientale, a causa del troppo elevato consumo di energia elettrica che comporta. Soprattutto in Europa, ove più volte è stata avanzata l’ipotesi di bandirlo.

Microsoft, le modifiche relative al mining fanno discutere

La discussione che si è scatenata dopo l’aggiornamento ai termini di utilizzo di Microsoft è stata favorita anche dal fatto che in effetti il meccanismo messo in atto non è risultato immediatamente chiaro, proprio a causa della latitanza di spiegazioni esaurienti da parte dell’azienda.

Solo in un secondo momento è stato pubblicato un aggiornamento su Azure, la sua piattaforma per il cloud, il quale ha indicato come causa delle modifiche la necessità di mettere in atto una efficace protezione dell’ecosistema a favore dei partner.

In questo documento si afferma che i criteri di utilizzo sono stati aggiornati nel preciso intento di vietare esplicitamente il mining di criptovalute in tutti i Microsoft Online Services, “…a meno che non venga concessa una pre-approvazione scritta da parte di Microsoft.”

In un successivo chiarimento a The Register, l’azienda ha poi precisato che tale modifica si sarebbe resa necessaria in quanto l’attività tesa all’estrazione di risorse virtuali è in grado di causare interruzioni o addirittura danni ai servizi online e ai suoi utenti, cui si aggiunge una ulteriore aggravante, il fatto che spesso può essere collegata a frodi informatiche e attacchi da parte della pirateria informatica tesi a ottenere un accesso non autorizzato sottrarre token ai clienti.

Al tempo stesso, Microsoft ha affermato che l’autorizzazione scritta può essere presa in considerazione per test e attività di ricerca condotta a fini di sicurezza. Insomma, la stretta sembra esserci a tutti gli effetti, anche se non siamo al bando vero e proprio, almeno per ora.

Non solo Microsoft

Occorre sottolineare che il gigante statunitense è soltanto l’ultimo arrivato in una lista la quale già vedeva alcune presenze di grande rilievo. A partire da Google, che ha deciso di vietare il mining crypto in assenza di espressa autorizzazione. Una decisione a sua volta derivante dalla constatazione che nel corso del 2021 si sono verificati molti attacchi da parte di hacker con il preciso intento di utilizzare i cloud compromessi per estrarre abusivamente criptovaluta.

Oltre a questa decisione Big G ha messo in atto un’altra mossa, approntando un efficace servizio in grado di rilevare le minacce collegate a questo genere di malware negli account attaccati, in modo da ridurne gli effetti.

Anche Digital Ocean richiede un’autorizzazione scritta, mentre Oracle ha deciso di portare il tutto alle estreme conseguenze, bandendo espressamente il mining. Per quanto riguarda AWS di Amazon, per ora il divieto nei confronti dell’attività di estrazione è limitato alla prova gratuita di 12 mesi. La mossa di Microsoft, però, potrebbe essere il preludio ad una ulteriore stretta. Almeno questo è il timore che inizia a serpeggiare presso le aziende interessate.

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