La notte che ha segnato il passaggio dal 14 al 15 settembre sembra destinata a restare in veste di vera e propria pietra miliare per il settore dell’innovazione finanziaria. Proprio in quell’arco temporale è infatti giunto a termine il tanto sospirato Merge, ovvero l’aggiornamento della blockchain di Ethereum teso a favorire il passaggio dall’algoritmo di consenso Proof-of-Work sul quale si è retta la rete dal momento della sua nascita, a quello Proof-of-Stake.

Un passaggio di cui si è parlato per lunghi mesi, dando luogo ad una campagna promozionale a costo zero, simile a quella che ha preceduto l’ultimo halving di Bitcoin, il dimezzamento delle ricompense spettanti ai miners che ha posto le premesse per la sensazionale crescita dell’icona creata da Satoshi Nakamoto, prima del crypto winter in atto.

Anche in questo caso le conseguenze dell’aggiornamento potrebbero permettere a Ethereum di dare luogo ad un vero e proprio volo. Un pronostico avanzato da più di un esperto nel corso delle passate settimane e che sembra del tutto conseguente alle premesse del Merge. Andiamo quindi a cercare di capire meglio cosa potrebbe accadere con la nuova fase di vita cui va incontro la più importante delle Altcoin.

Cosa potrebbe cambiare con l’avvento del Proof-of-Stake su Ethereum?

Per capire meglio le implicazioni del Merge occorre partire proprio dal meccanismo di consenso introdotto con questo aggiornamento, ovvero il Proof-of-Stake (PoW). Come dovrebbe essere ormai noto, le transazioni su una blockchain necessitano di un processo di convalida prima di poter essere immesse nel sistema sotto forma di dati inviolabili. Se nel Proof-of-Work di Bitcoin il processo è portato avanti dai minatori, sotto forma di calcoli estremamente complessi che necessitano di macchinari potenti, nel Proof-of-Stake il quadro muta del tutto.

In questo caso, infatti, la convalida è condotta da coloro che detengono i token e che li mettono in deposito nel preciso intento di potersi garantire il diritto a partecipare alle operazioni. Nessun complesso macchinario, di conseguenza, con un processo all’apparenza più democratico di quello comportato dal mining di criptovalute con il PoW.

A questa prima differenza, di non poco conto, ne fa seguito poi una seconda, anche stavolta di grande rilievo. L’attività di calcolo che distingue il Proof-of-Work è estremamente energivora. Se i calcoli su di essa condotti da varie entità tendono spesso a divergere, non c’è comunque dubbio che il mining di Bitcoin comporti un impiego di energia di grande rilievo. Un quantitativo che è ormai da tempo messo sotto accusa dagli ambientalisti e da alcuni governi a vocazione ecologista, come quelli dei Paesi nordici, i quali propongono addirittura il bando al mining condotto tramite PoW sul suolo europeo.

Con il Merge, Ethereum si sfila del tutto dalla discussione in atto. Lo staking, infatti, comporta un impiego di energia molto minore, che in alcune blockchain può risultare addirittura irrisorio. La blockchain ideata da Vitalik Buterin, comunque, esce praticamente dal mirino degli ambientalisti e si pone in una zona di apparente sicurezza. Dopo l’aggiornamento eseguito, infatti, i suoi consumi elettrici si dovrebbero ridurre del 99,5% rispetto a quelli precedenti.

A confermare questo dato è l’analisi pubblicata oggi dalla società di ricerca Crypto Carbon Ratings Institute (CCRI), in base alla quale il consumo di elettricità di Ethereum dovrebbe diminuire di un enorme 99,988% dopo il Merge. Secondo il CCRI, infatti, la rete in precedenza utilizzava circa 23 milioni di megawattora all’anno, mentre con l’aggiornamento eseguito dovrebbe arrivare ad utilizzarne poco più di 2.600. 

Se si prende come riferimento l’emissione totale di anidride carbonica, la flessione dovrebbe a sua volta attestarsi al 99,992%. L’inquinamento climatico della blockchain di Ethereum, infatti, dovrebbe scendere dai circa 11 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 all’anno a circa 870 tonnellate. Per capire meglio il dato, basta ricordare che tali emissioni risultano leggermente inferiori alla quantità di energia utilizzata da un centinaio di abitazioni dislocate all’interno del territorio statunitense. 

Se il nuovo rapporto è stato commissionato da ConsenSys, una società di software di Ethereum creata dal co-fondatore di Ethereum Joseph Lubin può essere accusato di parzialità, per ovvi motivi, occorre però sottolineare come i dati in questione vengano confermati da Alex de Vries, un ricercatore che gestisce il sito web Digiconomist, noto per il fatto di tracciare il consumo di energia di Bitcoin ed Ethereum. Proprio lui, infatti, stima come la domanda di elettricità di Ethereum sia diminuita nell’ordine del 99,98%, a seguito del Merge. Una flessione pari al quantitativo di energia consumato da un paese di piccola-media grandezza come l’Austria.

Si tratta in effetti di un dato di non poco conto in un momento in cui proprio la spesa relativa ai consumi elettrici è sul punto di schizzare verso l’alto, almeno sul suolo europeo, a causa delle difficoltà di approvvigionamento collegate alle sanzioni elevate nei confronti della Russia, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Se il tema dei consumi elettrici è molto importante, ce n’è però un altro che è stato sinora poco dibattuto, ma che potrebbe rivelarsi altrettanto importante, almeno per quanto riguarda i rapporti di forza attualmente esistenti tra Bitcoin e Ethereum. Vediamo quale.

Lo staking di Ethereum potrebbe calamitare gli investitori istituzionali

Come abbiamo già ricordato, lo staking prevede il deposito dei token da parte dei possessori, al fine di ritagliarsi il diritto di partecipare alla convalida delle transazioni. Un deposito che viene naturalmente retribuito, come fanno ormai molte società che propongono rendimenti estremamente interessanti per chi intenda farlo.

Una remunerazione la quale potrebbe infine invogliare anche gli investitori istituzionali, ovvero i grandi fondi che hanno sinora privilegiato l’acquisto di Bitcoin e i quali potrebbero decidere di mutare la loro politica soprattutto alla luce delle rinnovate difficoltà dell’economia e della fiammata inflazionistica in atto.

Ove ciò accadesse, per BTC le cose potrebbero complicarsi non poco, soprattutto alla luce dell’ostilità sempre più diffusa verso il mining condotto con un meccanismo ormai considerato alla stregua di un appestato, il Proof-of-Work sempre più nel mirino degli ambientalisti.

L’esito dello scontro tra Ethereum e Bitcoin non è assolutamente scontato

Se questo sembra un possibile scenario, occorre comunque sottolineare che gli esiti reali potrebbero essere molto diversi. Il primo fattore da considerare è relativo proprio al Merge, che è stato testato, ma di cui non si conoscono ancora le reali implicazioni in termini di sicurezza. Non a caso nei giorni precedenti all’aggiornamento si sono levate alcune voci secondo le quali con l’avvento del PoW il sistema sarebbe molto più vulnerabile.

Un secondo fattore da tenere presente è poi quello relativo allo stesso Bitcoin, il quale si avvia a sua volta verso il suo quarto halving, dopo quello avvenuto nel 2020. Un evento il quale potrebbe ancora una volta essere caratterizzato da grandi discussioni in grado di fungere da propellente per una crescita del suo prezzo.

Se, quindi, l’esito di un eventuale duello tra Ethereum e Bitcoin sembra ancora complicato da prevedere, pochi sembrano comunque avere dubbi sul fatto che dopo il Merge il progetto di Vitalik Buterin potrebbe crescere in maniera esponenziale e, soprattutto, cementare la sua posizione di dominio nell’ambito della DeFi (Decentralized Finance), respingendo i preventivati attacchi delle aziende che fanno riferimento a quel particolare segmento del mercato crypto, a partire da Cardano, ma non solo.

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