Lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina ha naturalmente riportato d’attualità il tema delle sanzioni contro il gigante eurasiatico. Vista l’impossibilità di arginare la manovra a tenaglia messa in campo da Vladimir Putin per colpire il governo di Kiev, l’Occidente ha ancora una volta rispolverato le sanzioni economiche, tese a colpire l’economia russa.

Stavolta, però, sono in molti a prevedere che le sanzioni si riveleranno un flop. Non solo per il recente accordo tra Mosca e Pechino relativo al gas russo, ma anche perché negli anni trascorsi dal 2014, quando l’Occidente ricorse alle sanzioni contro il Cremlino, la politica russa ha agito per mettere al riparo la propria economia da questo genere di provvedimenti.

In particolare, tra le mosse che Putin potrebbe utilizzare in questa occasione, c’è anche l’utilizzo delle criptovalute. Il denaro virtuale e il rublo virtuale potrebbero rivelarsi fondamentali per permettere alla Russia di attutire in maniera molto forte i danni dell’embargo alla propria economia. Andiamo quindi a vedere più da vicino la questione.

Le criptovalute come risposta alle sanzioni

Negli anni trascorsi dal 2014, il danno provocato all’economia  russa dalle sanzioni è stato quantificato nell’ordine di 50 miliardi di dollari all’anno. Una cifra molto consistente, che però non ha fatto desistere Putin dall’idea di risolvere con la forza la questione ucraina.

Nello stesso lasso temporale, comunque, la Russia non è certo rimasta a guardare. Anzi, ha iniziato a pianificare la propria azione e a considerare i vari scenari per capire come reagire. A ricordarlo è stato l’ex procuratore generale Michael Parker, al momento alla guida della sezione antiriciclaggio e sanzioni dello studio legale di Washington Ferrari & Associates.

Del resto, la strada in tal senso era già stata indicata da Paesi come Venezuela e Iran, anch’essi sottoposti a embargo. In particolare il Paese sud-americano guidato da Nicolàs Maduro ha aperto la strada in tal senso. Per farlo ha fatto leva sulle criptovalute. Non solo ha varato la sua criptovaluta statale, il Petro, garantito dalle risorse petrolifere e minerarie, ma ha anche aperto le porte al denaro virtuale.

Sono sempre più, infatti, i cittadini venezuelani che cambiano il bolivar, la valuta fiat nazionale, in denaro digitale. Se corrono il rischio legato alle fluttuazioni tipiche delle criptovalute, scansano però quello legato all’ipersvalutazione del primo.

Una direzione che ora potrebbe essere percorsa a tutta velocità da Mosca. In tal senso va inteso il piano teso al varo del rublo digitale, sull’onda innescata dalla CBDC cinese, ma anche la possibilità di utilizzare all’uopo Bitcoin e Altcoin.

Le aziende potrebbero commerciare con la Russia tramite criptovalute?

Il quesito che gira in queste ore è abbastanza intrigante, per gli appassionati di criptovalute: Mosca potrebbe commerciare con le aziende utilizzando cryptocurrency? Un quesito tutt’altro che campato per aria, considerato come il denaro virtuale sia in grado di assicurare notevoli livelli di riservatezza a chi lo utilizza per le proprie transazioni.

Se a detta della Bitcoin Foundation la sua blockchain rappresenta il mezzo più trasparente possibile per individuare i due lati della transazione, non va al contempo dimenticato che ormai da tempo BTC è utilizzato all’interno del Dark Web. Le bande criminali lo utilizzano per alimentare i traffici di stupefacenti, armi e esseri umani, proprio perché rende comunque difficile capire chi sia impegnato nelle operazioni.

Oltre all’icona di Satoshi Nakamoto, però, ci sono altre monete virtuali in grado di assicurare riservatezza. Stiamo parlando delle cosiddette Privacy Coin. Un novero in cui spiccano Monero, Dash, Zcash, Verge e Bytecoin e al quale si sta aggiungendo Litecoin, con l’adozione di MingleJingle.

Proprio ad esse potrebbe decidere di rivolgersi il governo russo per sottrarre le proprie operazioni economiche all’occhio lungo di Washington. Non pochi esperti sembrano concordare in tal senso in queste ore. Mentre sembra più improbabile che le autorità monetarie russe decidano di utilizzare il ransomware all’uopo. Non tanto per i rischi ad esso collegati, minimi, quanto per il fatto che non è certo con il riscatto collegato allo sblocco dei sistemi attaccati che possono essere recuperati 50 miliardi di dollari all’anno.

Sarà la Cina a fornire aiuto alla Russia per il rublo digitale?

C’è infine un ultimo quesito che ricorre in queste ore: sarà il governo di Pechino a fornire il know-how necessario alla Russia per sviluppare in fretta il proprio rublo digitale? Secondo i favorevoli a questo quesito sarebbe proprio la comune volontà di sconfiggere gli Stati Uniti attaccando il potere imperiale del dollaro a spingere i due Paesi a collaborare in tal senso.

Ove ciò accadesse, il rigore di Biden contro la Russia, severamente attaccato dal suo predecessore Donald Trump, rischierebbe di tramutarsi in una rotta disastrosa per gli Stati Uniti. Non solo incapaci di difendere l’Ucraina dopo averle fatto credere di poterla proteggere, ma anche di porre argine all’attacco contro il maggiore simbolo del predominio globale di Washington.

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