Se il dinamismo è una delle caratteristiche salienti dell’innovazione finanziaria, dall’altro lato comporta anche qualche problema relativo alle tante questioni che la materia va a toccare. Una di quelle che sta emergendo con sempre maggiore forza nel corso degli ultimi mesi è relativa in particolare al regime fiscale cui devono essere sottoposti gli asset virtuali.

Se per quanto riguarda le criptovalute almeno in Italia è già stata presentata una proposta di legge tesa a fare chiarezza in una materia già toccata ripetutamente dall’Agenzia delle Entrate, da parte di Elena Botto, del Gruppo Misto, meno chiaro è al momento la situazione degli NFT (Non Fungible Token), ovvero gli asset unici che non possono essere frazionati, a differenza di quelli fungibili come il Bitcoin.

In pratica, questi token vengono creati partendo da un asset digitale, che può essere un video, una fotografia, un file o altro, trasformandolo in una sequenza di codice, denominato, il quale viene a sua volta memorizzato all’interno della blockchain, ove non può essere oggetto di modifica, per essere associato ad una marca temporale. Il risultato finale è la creazione di una data destinata a certificare l’esistenza del bene e la sua unicità.

Semplificando ulteriormente il discorso, possiamo dire che il possessore di un NFT acquista il certificato di autenticità digitale “incorporato” nel token stesso. Proprio questo certificato, però, va a spostare non di poco i termini della discussione, assimilando questi token a opere d’arte, più che a beni finanziari.

Alcuni NFT hanno già raggiunto un valore stratosferico, a partire da “Everydays: the first 5000 days” di Beeple, un collage di 5mila fotografie battuto a 69,3 milioni di dollari. Come si può facilmente immaginare, proprio il conseguimento di cifre di questo genere ha fatto drizzare le antenne alle autorità fiscali di ogni parte del globo, le quali hanno iniziato a ragionare su come muoversi.

A questo punto la domanda da farsi è abbastanza scontata: occorre pagare tasse sugli NFT? Una domanda semplice la quale, però, esige una risposta articolata, proprio in ragione dell’importanza sempre più rilevante che stanno assumendo questi asset e dell’importanza delle cifre che girano nel settore.

NFT: qual è il regime IVA da applicare

La prima cosa da fare, quando si intende alienare un NFT (o una collezione di essi), è cercare di capire se si sia di fronte ad un’attività occasionale o abituale. Nel primo caso, ovvero quando si tratta di attività saltuarie che esulano dal regime di impresa, anche nel caso si verifichino plusvalenze le stesse non sono oggetto di tassazione. Gli eventuali guadagni, infatti, vanno a rientrare in una particolare categoria, quella dei “redditi diversi”, intendendosi per tali quelli derivanti dalle attività commerciali non esercitate abitualmente. I valori derivanti da queste operazioni devono essere inserite all’interno del quadro RL della dichiarazione dei redditi, andando ad alimentare il reddito tassabile sulla base delle aliquote ordinarie.

Il discorso cambia sostanzialmente ove la vendita di NFT avviene in maniera continua e professionale. In questo caso occorre distinguere tra:

  • la creazione da parte di un artista del token non fungibile, ad esempio su OpenSea, e sua successiva vendita. Se l’NFT è legato a un’opera classificabile come opera dell’ingegno (in presenza di creatività e non fungibilità) che viene ceduta insieme al primo, la cessione congiunta dei beni deve essere classificata alla stregua di una cessione dei diritti relativi all’opera dell’ingegno e del diritto di autore, dando luogo alla conseguente esclusione da IVA, la quale dovrà essere versata solo nel caso in cui l’interessato operi in regime d’impresa;
  • la vendita successiva alla prima di un NFT, per la quale può essere indicata già all’atto della sua creazione la percentuale di royalties spettante al creatore. Nella generazione di reddito che ne deriva, sul 75% della cifra complessiva percepita, dovrà essere versato il 30% al fisco.

La questione del monitoraggio fiscale, ma non solo

Anche per gli NFT, però, c’è un’altra questione non proprio secondaria, come del resto si è visto per i token fungibili, ovvero quella relativa al loro corretto trattamento da un punto di vista degli obblighi di monitoraggio fiscale. Alla luce delle caratteristiche di questi asset non esistono in effetti possibili criteri di localizzazione geografica degli stessi, rendendo impossibile dimostrare che esista l’obbligo di farlo da parte del legittimo possessore. Come è possibile allo stato attuale delle cose dimostrare che un NFT è presente sul territorio italiano o di qualsiasi altro Stato estero?

Proprio per quanto riguarda questo delicato aspetto, il riferimento normativo è rappresentato dall’articolo 4 del decreto legge numero 167 risalente al 1990, il quale afferma che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società, si tratti semplici o equiparate che hanno sede nel nostro Paese e aventi investimenti all’estero nel periodo d’imposta, intendendo come tali le attività estere di natura finanziaria, in grado di produrre redditi imponibili in Italia, sono obbligati ad indicarli all’interno della dichiarazione annuale dei redditi.

Il problema posto dagli NFT è quindi il seguente: possono rientrare in questa definizione? Proprio la mancanza di una normativa precisa lascia aperta la porta ad ogni possibile interpretazione, senza che neanche l’Agenzia delle Entrate sia sin qui riuscita a sciogliere i dubbi.

Tra i problemi principali occorre quindi menzionare il fatto che non è chiaro se, in senso generale, gli NFT sul piano fiscale debbano essere trattati come opere d’arte ed, eventualmente, a quali condizioni, o invece essere trattati come i token di una ICO o come vere e proprie valute virtuali.

Se si sostiene che le opere incorporate in un NFT in termini fiscali devono trattate come opere d’arte, per gli artisti che vivono del loro commercio scatterebbe l’obbligo di assoggettarne la vendita allo specifico regime IVA. Questa interpretazione deriva da alcune disposizioni contenute nel decreto legge 41 del 1995 convertito poi nella legge 85 dello stesso anno, il quale fa esplicito riferimento alle opere d’arte. Ne consegue l’applicazione dell’aliquota ordinaria al 22% o di quella agevolata al 10%.

Questa eventualità, però, pone un altro nodo da sciogliere: la specifica normativa, per l’assoggettamento al regime agevolato, infatti, prevede che l’opera debba avere caratteri (oltre ad unicità o numero limitato delle riproduzioni) che non è scontato possano essere rinvenute in un NFT. La norma fiscale, infatti, indica come opera d’arte un’entità caratterizzata da fisicità materiale che gli NFT non hanno (semmai è caratteristica dell’opera d’arte di cui il token non fungibile rappresenta la prova dell’esistenza).

Un mutamento radicale del discorso avviene però nel caso in cui si affermi che le opere incorporate in un token non fungibile vadano trattate alla stregua di valute virtuali. In questo caso, infatti, all’atto di vendita, anche nell’esercizio di un’attività economica, l’IVA non dovrebbe essere applicata, a causa della ricaduta nel campo di esenzione previsto all’art. 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva UE 2006/112 sull’IVA.

Ulteriore mutamento di scenario si verificherebbe poi nel caso in cui gli NFT siano trattati alla stregua di token, come quelli che vengono emessi nell’ambito di una ICO. Proprio l’Agenzia delle Entrate, infatti, ha sinora emanato indicazioni in cui si fa differenza tra security token, ovvero rappresentativo di diritti economici o utility token, prodotto per garantire l’accesso ad un servizio. Secondo le autorità fiscali solo la cessione di questi ultimi, sempre nell’esercizio di un’attività economica, sarebbe soggetta ad IVA.

Si rende necessaria una definizione del quadro fiscale anche per gli NFT

Quanto abbiamo sin qui ricordato, non può che produrre una constatazione di non poco conto: le casistiche in questo ambito sono molte e ognuna di loro è in grado di acuire le difficoltà per una comprensione generale della materia.

Se, come abbiamo visto, il Senato è stato di recente investito dell’onere di esaminare un progetto di legge teso a dare organicità alla tassazione delle criptovalute, al momento non si hanno notizie di analoghi provvedimenti relativi agli NFT, lasciando quindi un vero e proprio vuoto normativo da riempire al più presto, proprio per evitare possibili abusi.

Al momento, però, non si hanno notizie in tal senso, se si pensa che all’interno dei 126 articoli che compongono il Markets in Crypto Assets (MiCA), il nuovo regolamento degli asset virtuali in discussione presso il Parlamento Europeo, i token non fungibili non vengono mai menzionati.

L’unica novità in tal senso è arrivata, in Italia, dal Ministero delle Attività Culturali, il quale ha espresso la sua intenzione di arrivare presto alla definizione di misure di tutela per i beni culturali, con una distinzione dei token per tipologia. Dall’annuncio sembrerebbe quindi evidente l’intenzione di trattare gli NFT alla stregua di opere d’arte. Resta naturalmente da capire se si tratterà di una semplice base di partenza o meno.