Negli ultimi anni il concetto di proprietà digitale è stato oggetto di un acceso dibattito, soprattutto in ambito videoludico, dove l’evoluzione dei modelli di distribuzione e l’affermarsi del game as a service hanno modificato profondamente il rapporto tra utenti e videogiochi acquistati. Proprio su questo terreno già ampiamente scivoloso si inserisce l’ennesimo capitolo della vicenda Ubisoft, che nelle scorse ore è tornata a far discutere dopo le dichiarazioni del CEO Yves Guillemot sull’impossibilità di garantire un accesso perpetuo ai giochi digitali.
Un’affermazione che, seppur in parte realistica, ha immediatamente infiammato le polemiche e rinfocolato il malcontento già acceso da tempo attorno alla chiusura dei server di The Crew, titolo acquistato da migliaia di utenti e ormai completamente inaccessibile.
La posizione di Ubisoft contro chi vorrebbe preservare i videogiochi
Durante l’assemblea annuale con gli azionisti, Guillemot è intervenuto proprio in risposta alle critiche sollevate da un investitore riguardo la chiusura dei videogiochi a pagamento: “Ogni volta che lanciamo un gioco, forniamo supporto e accessibilità 24 ore su 24 ma è inevitabile che questi servizi abbiano un termine“.
Una posizione, quella di Ubisoft, che ribadisce una visione ormai consolidata nell’industria, i videogiochi moderni sono servizi, non più prodotti; da qui la conseguente impossibilità, a detta dell’azienda, di garantire il funzionamento illimitato nel tempo, soprattutto per quei titoli che si appoggiano a server online e infrastrutture cloud complesse e costose.
Ma se da un lato le parole di Guillemot sono apparse come una presa d’atto del contesto tecnologico attuale, dall’altro non sono mancate reazioni durissime da parte di utenti e associazioni; su tutte la campagna Stop Killing Games, che ha già raccolto oltre 1,4 milioni di firme in Europa e chiede a gran voice un intervento normativo da parte dell’Unione Europea.
Secondo i promotori, rimuovere un videogioco acquistato da una libreria digitale equivale a violare un diritto del consumatore, soprattutto quando il gioco in questione diventa del tutto inutilizzabile a causa della chiusura dei server; il paragone è semplice quanto efficace, “Sarebbe come comprare un’auto che smette di funzionare appena il modello va fuori produzione“.
In risposta alla crescente pressione, Ubisoft ha provato a correre ai ripari con qualche iniziativa mirata, una promozione simbolica a 1 euro per The Crew 2 e Motorfest, e l’annuncio di una futura modalità offline per entrambi i titoli; un tentativo evidente di rimediare in extremis a un errore di comunicazione e, probabilmente, anche di strategia.
Tuttavia, il malumore degli utenti non accenna a placarsi, sui forum e sui social il tema è diventato un vero e proprio caso, con molti che sottolineano come, paradossalmente, i giochi fisici del passato funzionino ancora oggi, mentre i titoli digitali recenti rischiano di diventare inservibili nel giro di pochi anni.
Il dibattito è ormai aperto anche sul piano politico-industriale, Video Games Europe, uno dei principali gruppi di rappresentanza del settore, è intervenuto con una risposta ufficiale, segno che il tema non è più solo una questione per appassionati e collezionisti.
Quel che è certo è che l’industria dei videogiochi dovrà presto fare i conti con un nodo fondamentale, il diritto all’accesso continuativo a contenuti digitali regolarmente acquistati, perché se è vero che nulla è eterno (come sostiene il CEO di Ubisoft), è altrettanto vero che oggi i consumatori si aspettano di poter utilizzare ciò per cui hanno pagato, senza sorprese o chiusure unilaterali.
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