Il confine tra ricerca accademica e minacce concrete nel campo della cybersicurezza si fa sempre più sottile, e la nuova dimostrazione di Palisade AI ne è la prova più evidente; l’azienda ha infatti realizzato un proof-of-concept tanto semplice nella sua struttura quanto inquietante nelle sue implicazioni: un cavo USB apparentemente innocuo, in realtà capace di ospitare al suo interno un agente di intelligenza artificiale autonomo, progettato per infiltrarsi nei computer e condurre operazioni di spionaggio digitale senza alcun intervento umano diretto.

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Cosa può fare il Palisade Hacking Cable grazie all’intelligenza artificiale

Il funzionamento del cosiddetto Palisade Hacking Cable si basa su un approccio ben noto nel mondo della sicurezza, l’uso di dispositivi BadUSB programmati per comportarsi come periferiche HID e iniettare script al momento della connessione. Nel caso specifico, una volta collegato al computer, il cavo rilascia un piccolo agente che avvia una comunicazione con un modello linguistico avanzato (nello scenario mostrato GPT-4.1) che interpreta gli output dei comandi, analizza il contesto e decide autonomamente il passo successivo.

Il ciclo operativo, che ricalca quello di un vero e proprio operatore umano, è organizzato in tre fasi ripetute: esecuzione di un comando, raccolta dell’output e analisi da parte del modelli IA, con successiva iterazione fino al raggiungimento dell’obbiettivo. Nel frattempo i dati raccolti, che spaziano dall’esplorazione delle directory alla mappatura delle connessioni di rete, fino all’esfiltrazione di documenti e foto, vengono inviati a un server di comando e controllo che funge da dashboard in tempo reale; qui l’attaccante può visualizzare i risultati, ricevere note di intelligence generate automaticamente e persino diagrammi che rappresentano le relazioni tra le informazioni trovate.

Il valore aggiunto di questa sperimentazione non è tanto nella componente hardware, già ampiamente diffusa nel mondo del penetration testing, quanto nella combinazione con un agente IA capace di lavorare in totale autonomia; di fatto, attività che tradizionalmente richiedevano tempo e risorse (come l’analisi manuale di centinaia di macchina compromesse) possono ora essere automatizzate, riducendo drasticamente i costi e aumentando la scala delle operazioni. Non sorprende dunque che Palisade AI parli di un vero moltiplicatore di forza per chiunque intenda sfruttare queste tecniche, siano essi gruppi criminali o, peggio ancora, attori statali.

Il richiamo all’attualità non è casuale, minacce reali come LameHug, attribuito al gruppo APT28, hanno già dimostrato in natura comportamenti post sfruttamento guidati dall’intelligenza artificiale; ciò conferma che queste tecnologie non sono più confinabili a un laboratorio di ricerca, ma fanno già parte dell’arsenale operativo di chi si occupa di cyberwarfare e spionaggio.

Nonostante la spettacolarità della demo, Palisade non nasconde i limiti del sistema, gli agenti autonomi possono incappare in vicoli ciechi, ripetere azioni inutili o trascurare evidenze importanti; il comportamento può variare sensibilmente da un’esecuzione all’altra, complice la natura probabilistica dei modelli linguistici. Per mitigare questi rischi si stanno sperimentando approcci come il best-of-N sampling, l’uso di sistemi multi-agente con ruoli specializzati e strategie di prompting più rigide, pensate per ridurre le derive incontrollate.

La creazione del prototipo ha richiesto, a detta degli sviluppatori, poco più di una settimana di lavoro e circa 200 dollari di spesa per il cavo, a conferma di quanto queste tecnologie siano ormai accessibili anche a realtà di piccole dimensioni; un dato che inevitabilmente alimenta i timori, se con risorse così limitate è possibile costruire un agente autonomo capace di infiltrarsi e raccogliere informazioni sensibili, è facile immaginare l’impatto che iniziative simili potrebbero avere su larga scala.

La dimostrazione di Palisade non rappresenta dunque un prodotto destinato alla commercializzazione, quanto piuttosto un campanello d’allarme per la comunità della sicurezza informatica. L’intelligenza artificiale non è più soltanto uno strumento difensivo, ma sta rapidamente diventando parte integrante delle minacce stesse; una realtà che obbliga aziende, ricercatori e istituzioni a rivedere in fretta i modelli di difesa, perché i cavi hacker del futuro, alimentati da IA autonome, rischiano di passare dalla teoria alla pratica molto più rapidamente di quanto si pensasse.