Nell’ambizioso e decisamente poco affollato panorama delle tecnologie neurali, la Cina compie un passo decisivo diventando il secondo Paese al mondo a portare la tecnologia invasiva cervello-computer alla fase clinica; dopo Neuralink, l’ormai celebre creatura di Elon Musk, anche l’Accademia Cinese delle Scienze ha completato con successo il primo impianto cerebrale sperimentale su un essere umano, aprendo le porte a una nuova fase della ricerca neuroscientifica e, potenzialmente, a rivoluzioni tangibili nel campo della disabilità e della neuro-riabilitazione.
La Cina effettua con successo il primo impianto cervello-computer su un paziente umano
Il protagonista del primo intervento è un uomo di 37 anni, rimasto privo di tutti e quattro gli arti a causa di un grave incidente elettrico avvenuto più di dieci anni fa; a marzo 2025 l’equipe medica dell’ospedale Huashan (affiliato all’Università di Fudan di Shanghai) in collaborazione con il Centro di Eccellenza per le Scienze del cervello e alcuni partner industriali, ha impiantato un dispositivo neurale delle dimensioni di una moneta, dotato di elettrodi sottilissimi e flessibili come mai prima d’ora.
Secondo quanto riportato dalla CCTV l’intervento, che ha richiesto meno di mezz’ora, è stato eseguito con una precisione chirurgica millimetrica grazie a una navigazione 3D in tempo reale del cervello del paziente, che ha permesso l’inserimento dell’elettrodo nella corteccia motoria attraverso una minuscola finestra cranica di 5 nm.
A poche settimane dall’intervento i risultati hanno stupito anche i più ottimisti, il paziente ha imparato a controllare un cursore su uno schermo tramite il pensiero, riuscendo persino a giocare a scacchi e ai videogiochi, con un livello di controllo generale quasi normale; un traguardo che ricorda da vicino quello mostrato da Neuralink, ma che si distingue per diversi dettagli tecnologici non da poco.
L’intero impianto cinese ha un diametro di 26 mm e uno spessore inferiore a 6 mm, circa la metà del dispositivo sviluppato da Neuralink, mentre ogni punta è dotata di 32 sensori in grado di raccogliere segnali cerebrali in tempo reale. Il vero asso nella manica tuttavia, è l’estrema flessibilità del materiale, gli elettrodi sono larghi circa 1/100 di un capello umano, il che li rende non solo meno invasivi ma anche impercettibili al tessuto cerebrale, evitando potenziali rigetti immunitari o infiammazioni croniche.
Se i risultati iniziali sono incoraggianti, i piani dei ricercatori cinesi lo sono ancora di più, nel corso del 2025 è prevista una serie di sperimentazioni su pazienti affetti da paralisi o SLA, con l’obbiettivo di arrivare a test su fino a 40 pazienti entro il 2026; le fasi successive includeranno il controllo di bracci robotici per attività quotidiane, come afferrare oggetti o interagire con ambienti digitali, ma si guarda già oltre.
L’obbiettivo dichiarato è rendere possibile il controllo di dispositivi complessi come cani robotici o agenti IA incarnati, ovvero sistemi robotici avanzati dotati di intelligenza artificiale e capacità d’interazione autonoma.
In prospettiva la tecnologia potrebbe essere applicata anche a casi clinici come cecità, Alzheimer, ictus e altri disturbi neurologici gravi, segnando così l’inizio di una nuova era per la medicina neurologica e la robotica assistiva.
Con questa mossa la Cina si posiziona ufficialmente come leader (insieme agli USA) nella corsa alle interfacce cervello-computer invasive, resta ora da vedere se e come riuscirà a scalare questa tecnologia a livello clinico, rispettando o definendo nuovi standard internazionali in termini di sicurezza e interoperabilità; di certo con questo nuovo impianto la realtà ha appena fatto un passo concreto verso quello che, fino a pochi anni fa, sembrava fantascienza.
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