Come era facilmente prevedibile il fallimento di FTX si sta rapidamente propagando in un settore delle criptovalute che è sempre più in affanno. L’ultima azienda, per ora, a gettare la spugna è BlockFi, sino a qualche mese fa considerata tra le più accreditate piattaforme per depositare token ricevendo in cambio interessi, che ha deciso di chiedere l’adesione all’ormai famigerato Chapter 11, ovvero la legge che negli Stati Uniti regola le procedure di fallimento.

BlockFi afferma di avere a propria disposizione, al momento, quasi 260 milioni di dollari in contanti, coi quali prevede di poter far fronte alla prossima ristrutturazione. Ad essi si dovrebbero aggiungere i fondi derivanti dal recupero degli obblighi dei suoi debitori. Tra questi crediti rientrano anche quelli di FTX, che però potrebbero rivelarsi impossibili da riscuotere, o quasi.

BlockFi cita in giudizio FTX

Secondo il Financial Times, per cercare di rientrare in questo caso verrebbe citato in giudizio il fondatore di FTX Sam Bankman-Fried, in modo tale da poter prendere possesso della partecipazione del 7,6% in Robinhood da questi posseduta. BlockFi sostiene infatti che proprio questo asset era stato presentato alla stregua di garanzia al fine di garantire gli obblighi di pagamento che erano stati concordati per l’inizio di questo mese.

Nell’ambito di questa operazione, in pratica FTX avrebbe dovuto procedere all’acquisizione di BlockFi, operazione naufragata con il fallimento dell’exchange che ne ha sancito il definitivo crollo. Nel complesso giro di truffe organizzate da Bankman-Fried è quindi finita anche l’azienda creata da Zac Prince e Flori Marquez nel 2017 al fine di rilasciare prestiti ai clienti i quali depositavano le loro criptovalute trasformandole in collaterali. Nel 2021  BlockFi poteva vantare depositi da parte dei clienti per una cifra compresa tra i 14 e i 20 miliardi di dollari.

Già questo dovrebbe far squillare qualche campanello d’allarme sulle reali possibilità di poter far fronte alle prevedibili richieste di rientro da parte dei suoi clienti. I primi a pagare saranno comunque i dipendenti, considerato come proprio in queste ore l’azienda fallita stia procedendo al licenziamento di quasi tutta la forza lavoro impiegata. Potrebbe però trattarsi, purtroppo di un semplice antipasto, considerato come il contagio di FTX si stia propagando in molte direzioni.

Criptovalute, si prospetta l’ennesimo dramma

BlockFi ha provveduto a chiedere il suo inserimento nel Chapter 11. Lo ha annunciato la stessa azienda sulla sua pagina di Twitter, senza provocare alcun genere di sorpresa, considerati gli eventi dei giorni passati.

Anche in questo caso si prospetta un vero e proprio dramma, alla luce del numero di creditori interessati. Basta infatti visionare la richiesta di soccorso presentata alla corte del New Jersey per notare come BlockFi abbia oltre 100mila creditori, con gli asset coinvolti che hanno un controvalore tra 1 e 10 miliardi di dollari. Il maggior creditore è Ankura Trust Company, esposta per ben 729 milioni di dollari, con FTX a sua volta in credito di 275 milioni, e la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti a sua volta coinvolta per un importo pari a 30 milioni.

Il curioso caso della SEC, l’autorità di controllo dei mercati finanziari statunitensi, è dovuto ad un accordo da 100 milioni di dollari che era stato raggiunto al termine di un’indagine conclusa nel passato febbraio, grazie al quale la società ha potuto proseguire regolarmente la sua offerta di interessi sui depositi in asset virtuali.

Per quanto riguarda FTX, l’exchange di Sam Bankman-Fried che è alla base dell’ennesima crisi di settore, la situazione è figlia della decisione di estendere una linea di credito da 400 milioni di dollari a BlockFi nel preciso intento di aiutare la società a reggere una situazione sempre più critica dopo il crollo di Terra (LUNA), tale da spingere al fallimento Celsius e Three Arrows Capital. Un aiuto che ha soltanto rimandato il fallimento, ormai atteso da tutti dopo il crac di FTX, il quale sta producendo un effetto domino di cui non si riesce a vedere la fine.

Chiude anche Bitfront

Altra notizia che conferma la durezza del crypto winter in corso è poi quella relativa alla decisione di procedere alla chiusura di Bitfront, l’exchange gestito dal gigante della messaggistica giapponese Line. La decisione è stata annunciata sul sito dell’azienda e andrà in porto nel marzo del prossimo anno.

Una decisione che è stata presa proprio in considerazione del prolungarsi del momento molto negativo delle criptovalute. La stessa Line ha però affermato di essere intenzionata a portare avanti le altre iniziative nel settore, in particolare l’ecosistema blockchain e il token nativo LINK.

Inoltre, da Line fanno sapere che quanto deciso non è collegato allo sconquasso provocato dal crollo di FTX, bensì alla volontà di razionalizzare le risorse ed evitare che Bitfront possa entrare in difficoltà tali da zavorrare il resto dei progetti in atto.

Nato con il nome di BitBox nel 2018, lo scambio di criptovalute aveva sede a Singapore. Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti nel corso del 2020, nell’anno successivo ha quindi sospeso i servizi in Corea del Sud. Le operazioni che hanno luogo al suo interno prevedono l’offerta di cinque token, ovvero Bitcoin, Etherum, Link, Tether e Litecoin, con un volume giornaliero che secondo i dati di CoinGecko ammonterebbero a 55 milioni di dollari.

Sarà Liquid Group il prossimo nome della lista?

Dopo il fallimento di BlockFi il settore crypto ha già iniziato a ragionare su quello che sarà il prossimo nome di una lista che si preannuncia lunga. Gli sguardi si tanno appuntando in queste ore in particolare su Liquid Group, un’altra piattaforma la quale era stata “salvata” nell’agosto del 2021 da FTX, tramite la concessione di un prestito pari a 120 milioni di dollari. Grazie ad esso l’azienda ha potuto fare fronte ad un attacco da parte di pirati informatici che aveva comportato la sottrazione di 90 milioni di dollari.

Nel maggio di quest’anno Liquid Group era entrato a far parte della costellazione di aziende rientranti nell’orbita di Sam Bankman-Fried, sospendendo i prelievi il 15 novembre, dopo il crac di FTX. Gli sportelli devono ancora riaprire e ormai sono in molti a ritenere che attendersi un esito di questo genere rappresenti nulla più che una pia illusione. La vicenda in questione ha infatti sinistre assonanze con quella di Voyager Digital, che aveva a sua volta ottenuto una linea di credito da 500 milioni di dollari da parte di Alameda Research, la consociata di FTX che è indicata alla base degli eventi dell’exchange.

Resta da vedere se Liquid Group fallirà e, soprattutto, se sarà l’ultima azienda crypto a farlo sulla scia di FTX. La speranza è che il nuovo Industry Recovery Initiative (IRI) di Binance possa porre riparo a qualche situazione estremamente deteriorata. Potrebbe però rivelarsi all’atto pratico nulla più di un semplice palliativo.