Le CBDC (Central Bank Digital Currency, in pratica le criptovalute di Stato) stanno rivestendo un’importanza sempre maggiore in termini geopolitici. A renderle fondamentali in quest’ottica è proprio il fatto che ormai da tempo gli Stati Uniti hanno non solo fondato il proprio ruolo internazionale sul dollaro, facendo leva sullo stesso come strumento per il commercio internazionale, ma lo hanno anche utilizzato sotto forma di sanzioni per colpire i Paesi meno disposti ad adeguarsi alle sue decisioni.

A dimostrare l’assunto di partenza sono le indiscrezioni che trapelano da New Delhi, in base alle quali il governo indiano sarebbe ormai pronto per lanciare la sua rupia digitale. Ad affermarlo sono stati in particolare il ministro delle finanze, Nirmala Sitharaman, e alcuni funzionari governativi, secondo i quali il progetto si troverebbe ormai in una fase talmente avanzata da far immaginare un suo esordio entro la fine del 2022. Era stato proprio il ministro, nel corso della presentazione del bilancio federale2022 avvenuta nel mese di febbraio,  a rendere noto che la Reserve Bank of India (RBI) avrebbe emesso la propria CBDC in questo anno finanziario.

Sarà proprio la banca centrale indiana, in collaborazione con State Bank of India, Punjab National Bank, Union Bank of India e Bank of Baroda, ad occuparsi della fase di test tesa a migliorare la valuta e renderla pronta ad un esordio sui mercati che potrebbe avere luogo nel prossimo mese di dicembre. Anche una azienda statunitense starebbe partecipando ai lavori: si tratta di FIS, nome non nuovo nel settore dell’innovazione finanziaria, la quale sta prestando il proprio know-how per fare in modo che tutto fili liscio portando il progetto al desiderato epilogo.

Il controverso rapporto tra India e criptovalute

Il rapporto tra India e criptovalute è stato abbastanza tempestoso, nel corso degli ultimi anni. Basti pensare che gli asset virtuali sono stati vietati all’interno del Paese. Il motivo di questo atteggiamento è stato spiegato con notevole chiarezza dal vice governatore della RBI, T. Rabi Sankar, il quale ha affermato senza girarci intorno che le criptovalute assomigliano molto ai classici schemi Ponzi e non hanno flussi di cassa sottostanti a garanzia. I consumatori devono quindi essere protetti da un utilizzo inappropriato del denaro virtuale.

La decisione di varare una CBDC potrebbe quindi sembrare sorprendente, ad un primo impatto con la notizia. Il fatto è che molti Paesi hanno da tempo mostrato un approccio diverso al tema del denaro digitale e il motivo è presto spiegato: le criptovalute come il Bitcoin sono in pratica gestite da entità private, le CBDC, al contrario, restano sotto il controllo dello Stato. Una differenza di non poco conto, in quanto taglia di netto l’ipotesi che i consumatori possano essere vittime di truffe e raggiri.

L’atteggiamento non proprio favorevole dell’India nei confronti delle crypto è poi ulteriormente dimostrato dal trattamento fiscale riservato agli investitori in asset virtuali all’interno del gigante asiatico. L’aliquota da versare per le transazioni in denaro virtuale è pari al 30%, un livello il quale sembra fatto apposta per scoraggiare aziende e privati. Non a caso Coinbase e FTX stanno ormai da tempo valutando l’ipotesi di uscire dal mercato indiano, nonostante le sue dimensioni.

Le CBDC si avviano a sovvertire i rapporti di forza?

L’arrivo della rupia digitale dovrebbe avvenire in concomitanza con l’esordio sui mercati di yen e rublo virtuali. Come si può facilmente notare, a mostrare particolare dinamismo in questo particolare ambito sono i Paesi facenti parte del gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Grandi Paesi le cui economie sono in forte crescita, come dimostra il recente sorpasso operato dall’India nei confronti della sua vecchia potenza coloniale, la Gran Bretagna, in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL), grazie al quale New Delhi è ora la quinta potenza economica mondiale.

Un dinamismo reso ancora più necessario proprio da una situazione internazionale sempre più problematica. Il tentativo di Stati Uniti e alleati di danneggiare lo sforzo bellico della Russia in Ucraina ha infatti innescato una serie di conseguenze a cascata, come quelle relative agli approvvigionamenti energetici, con Mosca e Pechino pronte a stringere i loro rapporti, nell’evidente intento di colpire il potere imperiale del dollaro. Una collaborazione la quale verte anche su materie finanziarie, a partire dal possibile utilizzo da parte della Russia del circuito bancario cinese, il sistema noto come CIPS (Cross-Border Interbank Payment System).

In questa ottica, proprio le criptovalute di Stato potrebbero assumere un ruolo enorme, venendo impiegate nei pagamenti commerciali tra i Paesi del Brics. Gli stessi Paesi emergenti, peraltro, hanno iniziato le discussioni per il varo di una valuta unica tesa a contrastare il biglietto verde e togliere un’arma sinora potentissima agli Stati Uniti. Uno sforzo cui guardano peraltro molti altri Paesi, in particolare quelli sottoposti a sanzioni come Venezuela, Iran e Corea del Nord.

Di fronte a questo attivismo occorre invece sottolineare l’assoluta inerzia da parte di Stati Uniti e Unione Europea, ove si continua ad evocare il varo di dollaro ed euro digitale, senza però che si registrino vere e proprie novità sotto forma di fatti concreti. Il risveglio delle classi dirigenti occidentali, di questo passo, potrebbe però trasformarsi in un vero e proprio incubo.

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