I pagamenti transfrontalieri rivestono una notevole importanza nell’ottica del commercio internazionale, per ovvi motivi. Proprio per questo è in atto una discussione molto serrata sullo strumento più funzionale per la loro effettuazione. Una discussione in cui si è inserita anche la Banca Centrale Europea (BCE), con uno studio dal quale emerge una sentenza praticamente indiscutibile: le CBDC, acronimo di Central Bank Digital Currency, sarebbero da preferire a Bitcoin, stablecoin e banche.

Il rapporto si intitola “Verso il Santo Graal dei pagamenti transfrontalieri” e fornisce un parere non scontato, se non nella parte relativa a Bitcoin, da sempre osservato in maniera critica dai vertici bancari continentali, il quale potrebbe avere un notevole peso nelle decisioni dell’Unione Europea in tema monetario e finanziario.

In questo documento, in particolare, gli analisti della BCE vanno a evidenziare i problemi di ridimensionamento e velocità di Bitcoin che sono ormai noti, tanto da aver spinto un gran numero di progetti a cercare di riproporre gli aspetti positivi dell’icona crypto, eliminando al contempo i problemi collegati ai costi e alla rapidità delle transazioni e, in alcuni casi alla presenza di un algoritmo di consenso, il Proof-of-Work (PoW), ritenuto nocivo a livello ambientale oltre che troppo costoso da un punto di vista puramente finanziario..

In tal senso occorre però considerare una notevole anomalia del documento, all’interno del quale non vengono presi in considerazione gli aggiornamenti Taproot e Lightning Network, che a detta degli esperti hanno notevolmente migliorato l’efficienza della rete.

Le CBDC sono ideali per i pagamenti transfrontalieri

Tirando le somme, comunque, possiamo affermare che il rapporto della BCE ha in pratica riconosciuto la maggiore adattabilità delle CBDC ai pagamenti transfrontalieri, derivante in particolare da una maggiore compatibilità con le conversioni tipiche del forex exchange (FX). I principali vantaggi evidenziati dalle stesse sono la possibilità di preservare la sovranità monetaria e la notevole facilità dei pagamenti istantanei utilizzando in qualità di intermediari le banche centrali.

Il giudizio finale, quindi, va ad intraprendere una direzione diversa rispetto a quella indicata da Phillip Lowe, il governatore della banca centrale australiana, secondo il quale una soluzione privata sarebbe da preferire almeno sino a quando una più rigida regolamentazione non sarà applicata al settore.

Il suo giudizio è stato espresso nel corso della recente riunione finanziaria del G20 tenuta in Indonesia e i suoi argomenti sono stati condivisi dalla National Association of Federally-Insured Credit Unions, per il motivo che l’eventuale implementazione di un token digitale da parte delle banche centrali comporterebbe costi estremamente elevati. Il parere in questione è stato anche inoltrato sotto forma di lettera presso il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti.

Resta naturalmente da capire ora se il rapporto in questione sarà recepito dalle istituzioni monetarie europee e l’eventuale rapidità di risposta da parte loro. Considerato come lo yuan digitale sia ormai entrato nella fase finale della sua sperimentazione, non accelerare il passo potrebbe tradursi in una perdita di competitività dell’euro rispetto alla moneta sovrana del gigante orientale, con conseguenze di largo raggio in termini di geopolitica.

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