Il passaggio di Ethereum all’algoritmo di consenso Proof-of-Stake (PoS) è sempre più vicino. Se, però, sino a qualche giorno fa si trattava di un qualcosa di indefinito dal punto di vista temporale, ora il Merge (come è stato ribattezzato il processo) ha anche una data ufficiale. Si tratta del 19 settembre, giorno indicato dal community manager di Beacon Chain superphiz.eth su Twitter.

Si tratta di un evento estremamente importante, atteso in precedenza per il mese di giugno, ma poi procrastinato per alcune difficoltà tecniche incontrate dagli sviluppatori. Con questo passaggio, secondo molti osservatori, il progetto ideato da Vitalik Buterin entra in una fase del tutto nuova della sua vita e, secondo alcuni, potrebbe addirittura insidiare la leadership di un Bitcoin che continua ad arrancare a livello di prezzo.

Ad alcuni vantaggi, però, potrebbero anche seguire svantaggi di non poco conto. Andiamo a cercare di capire cosa sta accadendo e il motivo dell’entusiasmo generato dall’annuncio dell’ormai prossima seconda fase della vita del grande rivale del Bitcoin.

Cosa comporta il passaggio al Proof-of-Stake

Il Merge è molto atteso dai sostenitori di Ethereum. Il motivo è da ricercare nel fatto che il nuovo meccanismo di validazione è in grado di assicurare maggiore velocità delle transazioni, costi molto più bassi per le operazioni e, soprattutto, portare fuori ETH da quella che può essere considerata in questo momento una sorta di palude, ovvero il processo di conio dei nuovi token con quel Proof-of-Work il quale è sempre più inviso ai governi, in particolare a quelli europei.

Il processo ora in fase di conclusione ha avuto inizio il primo giorno di dicembre del 2020, quando è stata lanciata la Beacon Chain dando vita alla cosiddetta Phase 0. Il passaggio alla Phase 1, previsto in un primo momento per la metà dell’anno successivo è stata poi procrastinata al primo trimestre di quello in corso, anche in questo caso per le difficoltà evidenziate dal processo di verifica del codice. Il passato 7 luglio è stato invece salutato dalla riuscita il test relativo all’aggiornamento sulla testnet Sepolia, il quale dovrebbe ora essere seguito da una ulteriore prova per la metà di agosto e poi dal lancio definitivo.

I primi effetti benefici del Merge si sono peraltro già riversati sulla quotazione di Ethereum, che nel corso dell’ultima settimana ha fatto segnare una leggera ripresa, dopo un periodo estremamente complicato e l’inabissamento di quasi tutti i token in quello che viene definito crypto winter, la gelata del settore favorita dalla lunga serie di crac che lo stanno funestando, a partire da quello di Terra (LUNA).

Ethereum 2.0 potrebbe però comportare qualche problema di non poco conto

Come abbiamo ricordato, quindi, il Merge sembra in grado di dare un notevole impulso alla blockchain di Vitalik Buterin, da un punto di vista di scalabilità e convenienza delle transazioni. Se questi sono i vantaggi prospettati dal passaggio dal Proof-of-Work al Proof-of-Stake, non si può però dimenticare come restino sul tavolo le perplessità relative alla sicurezza.

Il nuovo algoritmo di consenso, infatti, potrebbe rendere molto meno sicura la rete, come segnalato del resto da un recente rapporto pubblicato da HOPR, una società blockchain specializzata sui temi della sicurezza e della privacy. Il documento, in particolare, ha evidenziato una serie di criticità le quali potrebbero rivelarsi difficili da gestire dopo il passaggio al PoS. A rendere complicata la situazione, secondo i redattori dello studio, la possibilità che i validatori entrino in una fase di forte concorrenza, sino a danneggiare gli altri soggetti partecipanti.

Dall’altro lato, però, potrebbe essere molto più rischioso continuare a utilizzare il mining incentrato sul Proof-of-Work, inviso ad un numero sempre più elevato di governi, a partire da quelli del Nord Europa. Proprio da tale punto di vista, nel corso delle ultime ore sono da sottolineare un paio di notizie provenienti dagli Stati Uniti e dalla Svezia.

Per quanto riguarda il Paese nord-americano, sei membri del Congresso di area democratica hanno chiesto a Michael Regan, numero uno dell’EPA, l’agenzia che si occupa di protezione ambientale, e a Jennifer Granholm, segretaria del Dipartimento dell’energia, di attivarsi per frenare il mining di criptovaluta all’interno del Paese. Una mossa motivata dal fatto che la decisione della Cina di bandire questa attività sul proprio suolo ha concentrato il mining negli Stati Uniti.

Nel caso della Svezia, invece, è stato il ministro dell’energia Khashayar Farmanbar ad affermare, nel corso di un’intervista, di preferire l’utilizzo di energia elettrica per produrre acciaio green, piuttosto che impegnarlo per l’estrazione di criptovalute. Un parere il quale conferma in maniera molto evidente il fastidio delle istituzioni nordiche nei confronti del mining.

Il Merge potrebbe danneggiare anche l’Ucraina

A queste problematiche, se ne aggiunge peraltro una sinora poco dibattuta, ovvero quella relativa al danno che deriverebbe dal Merge per i piccoli minatori che hanno sinora portato avanti l’attività di conio senza far parte di pool minerari.

Si tratta di un problema che sembra particolarmente sentito in Ucraina, ove molti cittadini hanno deciso di rivolgersi a questa attività per cercare di trarre profitto da un’attività che non comporta grande impegno e manutenzione. Una volta scoppiato il conflitto con la Russia, ai tanti minatori singoli dislocati sul territorio ucraino erano state azzerate le commissioni di mining, ad esempio da parte di f2pool, un servizio che permette ai singoli minatori di Ethereum di unire la propria potenza di calcolo per poi dividere i profitti. Di fronte a questa opportunità molti avevano deciso di investire in macchinari, anche importi significativi.

Con l’addio al mining collegato al passaggio al Proof-of-Stake per queste persone verrà meno una potenziale fonte di reddito, in un momento reso molto drammatico dall’imperversare del conflitto. Per partecipare allo staking e generare utili, si calcola occorrano infatti 32 ETH, ovvero un quantitativo di risorse fuori dalla portata di questi piccoli minatori. Se prima bastava collegare una macchina per guadagnare, con la nuova fase occorre infatti fornire nuovi servizi, sobbarcandosi ulteriori costi.

Se naturalmente le decisioni si un’azienda non possono tenere conto di ciò che ognuna di esse comporta, resta comunque ora sul tavolo il problema rappresentato dai tanti che hanno investito in costosi macchinari per un mining che, all’atto pratico, non esiste più.

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