La politica dura della Cina verso il settore crypto segna un ulteriore passo in avanti con l’ultima decisione presa da WeChat, la più popolare app di messaggistica del Paese, che vanta oltre un miliardo di utenti. Tutti gli account attinenti al mondo delle criptovalute e dei Non Fungible Token (NFT) saranno banditi dalla piattaforma. A stabilirlo sono le nuove disposizioni su Termini e Condizioni del servizio, in cui si legge:

“Una volta rilevate tali violazioni – si legge sulla pagina ufficiale dedicata ai Termini e Condizioni – la piattaforma pubblica WeChat ordinerà all’account ufficiale in violazione di rettificare entro un limite di tempo e limiterà alcune funzioni dell’account fino a quando non sarà definitivamente bandito in base alla gravità della violazione.”

In pratica, con le modifiche apportate, le attività in valuta virtuale o di raccolta digitale vengono ad essere oggetto della clausola “Operazioni commerciali illegali” e quindi considerate alla stregua di “contenuto violante. Nel caso in cui siano rilevate violazioni di questo genere, WeChat afferma che “ordinerà all’account ufficiale in violazione di rettificare entro un limite di tempo e limiterà alcune funzioni dell’account fino a quando non sarà permanentemente bandito in base alla gravità della violazione”. Tutto molto chiaro, quindi.

A cosa è dovuta la decisione di WeChat

Naturalmente sono in molti a chiedersi, in queste ore, a cosa sia dovuta la decisione dell’app di messaggistica cinese. Se da un lato è ormai nota l’avversione del governo di Pechino nei confronti degli asset virtuali che non siano la propria CBDC (Central Bank Digital Currency), ormai sul punto di fare il proprio esordio sui mercati, dall’altro la risoluzione di WeChat sembra abbastanza abnorme.

L’ipotesi che si va facendo largo per spiegarla è quella relativa al fatto che circa un mese fa gli utenti dislocati all’interno del territorio della Repubblica Popolare Cinese avevano dimostrato grande interesse per le vicende relative al crac di Terra (LUNA). Un interesse esplicitato anche dagli utenti di Weibo, il social media cinese che vanta oltre 570 milioni di visitatori ogni mese.

Si tratterebbe quindi, almeno ad un primo esame, di un provvedimento teso a rimarcare la contrarietà del governo cinese nei confronti degli asset digitali. Una tesi la quale, però, viene smentita almeno parzialmente da alcuni dati. Il primo dei quali è quello relativo al fatto che a metà del mese di maggio l’Alta Corte del Popolo di Shanghai ha stabilito che Bitcoin non solo ha un “valore economico certo”, ma è anche una risorsa virtuale protetta dalle leggi del paese.

L’avviso è stato pubblicato dal tribunale sul suo profilo WeChat e deve essere considerato molto rilevante, considerato come si tratti della più alta corte locale all’interno delle province che formano il gigante asiatico. Al momento, però, non è molto chiaro se questa sentenza possa aprire un varco nella rete stesa intorno agli asset virtuali dal governo.

Altra notizia di un certo rilievo è poi quella secondo la quale all’interno del territorio cinese ammonti ancora a 94 il numero dei nodi minerari attivi. Un dato da considerare rilevante, alla luce del divieto di portare avanti attività di mining emesso lo scorso anno da Pechino.

Sembra difficile che Pechino torni indietro sulle sue decisioni

Se alcuni segnali sembrano accreditare l’ipotesi di una possibile distensione di Pechino sulla questione delle criptovalute, sull’altro piatto della bilancia, però, occorre anche ricordare che la China Netcasting Services Association (CNSA) ha aggiornato di recente i suoi regolamenti arrivando a bandire la condivisione di video tesi alla promozione di risorse digitali.

La situazione si presenta di conseguenza ancora abbastanza fluida anche se sembra complicato pensare che il governo centrale intenda tornare indietro sui propri passi, soprattutto quando manca ormai poco all’atteso debutto dello yuan digitale, un evento sul quale il Paese conta molto per andare a scalfire in maniera significativa il potere imperiale del dollaro, su cui si fonda la leadership globale degli Stati Uniti.

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