Nel corso di un processo che si è appena concluso, il tribunale di San Pietroburgo ha affrontato la questione legata alle criptovalute e alla possibilità di utilizzarle in funzione di mezzo per effettuare pagamenti. La decisione che è stata presa nel corso della vertenza potrebbe ora fare giurisprudenza in Russia, costituendo in effetti un precedente, considerato come nel Paese gli asset virtuali non siano ancora stati oggetto di riconoscimento dal governo centrale.

Il processo nel corso del quale è stata sollevata la questione, ha visto la condanna di due persone proprio per aver ricattato ed estorto una notevole somma sotto forma di denaro digitale. Ai condannati, con ogni probabilità non servirà come forma di consolazione, ma scegliendo di essere pagati in questo modo, nell’evidente intento di impedire il tracciamento delle risorse estorte, hanno dato vita ad un precedente che potrebbe rivelarsi molto importante.

La vicenda giudiziaria

La vicenda risale a quattro anni fa, quando Pyotr Piron, si presentò alla vittima, GA Shemet, affermando di essere un ufficiale del Servizio di sicurezza federale (FSB) e minacciando di perseguirlo penalmente per aver compiuto un reato utilizzando illegalmente risorse virtuali. Per ribadire con maggiore forza il concetto, il quale non era stato recepito inizialmente dalla vittima, Piron si è quindi ripresentato al suo interlocutore con un ulteriore rinforzo, Yevgeny Prigozhin, un ex dipendente del Ministero degli affari interni russo (MVD).

Poiché Shemet si era rifiutato di pagare i soldi pretesi, la coppia ha quindi deciso di procedere ad un finto arresto, pretendendo da Shemet la consegna delle criptovalute possedute, tali da raggiungere i 55 milioni di rubli (circa un milione di dollari) oltre ad una somma di valuta in contante per 5 milioni di rubli (quasi 90mila dollari). Di fronte alla minaccia di essere torturato quest’ultimo ha quindi deciso di cedere, per poi denunciare quanto accaduto alle autorità di polizia, che hanno proceduto all’arresto dei due aguzzini.

Nel corso del dibattimento processuale, in un primo momento il tribunale di San Pietroburgo ha affermato che la criptovaluta non rappresenta un mezzo di pagamento riconosciuto all’interno del territorio della Federazione Russa e, di conseguenza, non può essere riconosciuta neanche in termini di oggetto di diritti civili e di reato.

Nell’appello, però, la situazione è radicalmente mutata. La corte di cassazione, infatti, ha affermato senza mezzi termini come la criptovaluta possa comunque essere considerata un mezzo di pagamento, rinviando di conseguenza la causa al tribunale di primo grado, che pure aveva già condannato i due autori del reato, ponendo alla base del suo giudizio la sottrazione di valuta fiat.

Il tribunale non ha modificato la sentenza già spiccata in precedenza, considerato il riconoscimento del reato commesso, l’estorsione, ma ha provveduto a mutare il dispositivo della stessa, accludendo al suo interno la presenza del denaro digitale. Per la cronaca, i due protagonisti dell’estorsione sono stati condannati rispettivamente a nove e sette anni di carcere, che dovranno trascorrere sotto un regime molto rigoroso.

Cosa potrebbe accadere ora

Lo sviluppo di questa vicenda giudiziaria arriva in un momento abbastanza particolare. Nel passato mese di aprile, infatti, un tribunale distrettuale di San Pietroburgo ha aderito ad una richiesta elevata dalle forze dell’ordine relativa alla confisca della criptovaluta rubata e oggetto di un altro procedimento penale. In questo caso gli investigatori avevano chiesto il sequestro di due dozzine di portafogli crittografici di un sospetto, all’interno dei quali erano detenuti circa 1 miliardo di rubli in Ethereum (ETH).

Ma, soprattutto, cade in uno scenario abbastanza complesso, in cui anche le autorità politiche e monetarie russe discutono di criptovaluta con l’intento di farne uno strumento essenziale per sfuggire alle sanzioni occidentali per lo scoppio della guerra in Ucraina, cercando però di arrivare a regolamentarla in maniera rigorosa, nel preciso intento di impedire alla criminalità organizzata di utilizzare gli asset virtuali per i propri traffici e a chi intenda farlo di sottrarre importanti risorse al fisco.

Un orientamento il quale è stato peraltro oggetto di discussione anche all’interno dell’Unione Europea, ove si pensa di poter impedire al governo di Mosca di portare a termine il suo proponimento, anche se ancora non è stata data alcuna risposta concreta in tal senso, preferendo far risuonare parole durissime all’apparenza, destinate poi a trasformarsi in semplici enunciazioni di principio, come del resto accaduto per il gas e il petrolio russo.

Proprio quanto accaduto a San Pietroburgo, del resto, sembra testimoniare i rischi collegati all’utilizzo di denaro virtuale sottratto non solo al fisco, ma anche al raggio d’azione delle forze dell’ordine, di cui dovranno tenere conto i legislatori ove intendano legalizzarlo definitivamente, nel corso dei prossimi mesi. Gli eventi potrebbero perciò avere un loro rilievo nella discussione che si è già accesa in Russia intorno alle criptovalute.

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