Dopo El Salvador, ora tocca alla Repubblica Centrafricana proclamare il corso legale del Bitcoin all’interno del Paese, primo a farlo nel continente nero. L’Assemblea nazionale ha infatti deciso di approvare all’unanimità un disegno di legge il quale oltre a legalizzare gli asset virtuali, offre un quadro normativo ben definito e accetta BTC come moneta a corso legale.

Una decisione che va ad immergersi in un contesto molto problematico, quello che vede un’economia in notevole fase di difficoltà, cui il governo ha evidentemente deciso di reagire aprendo all’innovazione finanziaria. Una decisione importante, soprattutto in quanto potrebbe spingere presto altre realtà africane a intraprendere la stessa direzione, confermando l’impressione di una tendenza verso la vera e propria adozione di massa delle criptovalute.

La Repubblica Centrafricana sulle orme di El Salvador

A presentare la bozza di legge discussa dal Parlamento sono stati il ministro dell’Economia digitale, dei servizi postali e delle telecomunicazioni, Gourna Zacko, e quello delle finanze e del bilancio, Calixte Nganongo. Naturalmente nella fase di presentazione le fonti interne hanno messo l’accento sui vantaggi che gli investimenti in tecnologie di ultima generazione, a partire dalla blockchain, potranno apportare ai cittadini nelle operazioni legate alla quotidianità.

In effetti si tratta di una novità di non poco conto, se si considera che proprio all’Africa guardava Satoshi Nakamoto nella stesura del White paper relativo al Bitcoin, in cui si affermava l’intento di accelerare per questa via l’inclusione finanziaria di centinaia di milioni di persone dislocate in ogni angolo del globo e ancora oggi prive di strumenti di base per la gestione del proprio patrimonio.

Il Paese africano si incammina quindi nella direzione già presa da El Salvador da alcuni mesi, anche se resta da capire se in questo caso sarà sancito l’obbligo di accettare l’icona crypto nei pagamenti di ogni giorno, come è stato fatto dal piccolo Paese del Centro America o se, al contrario, sarà lasciata la facoltà di farlo ai diretti interessati. Una questione di non poco conto, considerato come proprio l’obbligo in questione, negato dal governo salvadoregno, abbia scatenato roventi proteste.

Come reagirà il Fondo Monetario Internazionale?

Tra le questioni collegate alla mossa del governo di Bangui, c’è anche quella relativa alla prevedibile reazione del Fondo Monetario Internazionale. Già in occasione dell’approvazione della Bitcoin Law proposta da Nayib Bukele, il FMI aveva reso pubblico il suo disappunto, che ora sarà con ogni probabilità riproposto di fronte alla decisione del piccolo Paese africano.

Va sottolineato come la situazione economica della Repubblica Centrafricana sia da considerare al momento molto problematica. I circa 5 milioni di cittadini residenti all’interno dei confini nazionali, infatti, nonostante la presenza di immense ricchezze nel sottosuolo (oro, diamanti e uranio, in particolare) non riescono a schiodarsi da una situazione di atavica povertà. Tanto da essere in pratica legati agli aiuti internazionali.

Aiuti internazionali che potrebbero essere negati dal FMI, per fare pressione sul governo, come è del resto già stato fatto nei confronti di El Salvador. Il motivo di questa contrarietà è indicato nel rischio macroeconomico collegato all’adozione delle criptovalute come strumento legale di pagamento, ma non sono pochi gli osservatori critici i quali affermano trattarsi semplicemente di un modo per proteggere l’attuale establishment finanziario, ovvero quello tradizionale.

Quale sarà il prossimo Paese a scegliere BTC?

Se El Salvador e Repubblica Centrafricana hanno già optato per il corso legale del Bitcoin, in molti si interrogano se altri Paesi siano pronti a seguirne le orme. Al riguardo c’è da segnalare una dichiarazione di Max Keiser, giornalista e noto evangelista di BTC, il quale all’inizio dell’anno ha affermato di sapere con sicurezza che uno Stato dell’America Latina si appresta ad adottarlo.

Secondo Keiser l’evento avrà luogo nel corso del secondo semestre e ha anche indicato una rosa di candidati, composta da Paraguay, Panama, Venezuela, Brasile o Argentina, tutti Paesi che, per un motivo o per l’altro hanno già abbracciato con convinzione gli asset virtuali.

Tra le dichiarazioni più interessanti da lui rilasciate nel corso di un’intervista che ha destato un certo scalpore, occorre però ricordare anche quelle violentissime contro il Fondo Monetario Internazionale. Definito da Keiser alla stregua di un “morto che cammina”, a spiegare la sua contrarietà all’icona di Satoshi Nakamoto sarebbe proprio il fatto che molti piccoli Paesi potrebbero decidere di non chiedere più i suoi prestiti e optare per il Bitcoin.

Ove ciò accadesse verrebbe praticamente a cadere quello che è stato lo strumento istituzionale del neoliberismo mondiale nel corso degli ultimi decenni. Proprio questo, a detta di Keiser, spiegherebbe l’avversione mostrata nei confronti di El Salvador, la cui Bitcoin Law è stata vista con tutta evidenza come un tentativo di smarcarsi da quella che è sempre più avvertita alla stregua di una gabbia.

Il caso di Tonga

Ai casi che abbiamo già ricordato, occorre poi aggiungere quello rappresentato da Tonga, di cui non si è molto parlato. Il piccolo Paese si regge soprattutto sulle rimesse dei migranti, che sono addirittura più numerosi della popolazione rimasta, attualmente stimata intorno alle 100mila persone.

All’inizio dell’anno, un ex parlamentare dell’isola, Lord Fusitu’a, presidente della Global Organization of Parliamentarians Against Corruption, ha riepilogato in un messaggio postato su Twitter quanto avvenuto in relazione ad una proposta di legge molto simile a quella approvata da El Salvador.

Dopo essere stata approvata dal Parlamento locale, la legge è stata quindi inviata all’esame del sovrano e del consiglio reale, venendo immediatamente approvata. Dopo un ulteriore passaggio presso il governo, per la sua approvazione definitiva, ora è praticamente in attesa della data dell’entrata in vigore.

Secondo lo stesso Lord Fusitu’a, proprio grazie ad essa la piccola isola polinesiana sarà in grado di portare ad un incremento dei redditi pari al 30%. Un aumento cospicuo della ricchezza nazionale che potrebbe tradursi in una ulteriore spinta per l’economia nazionale.

Per poter realmente approfittare del circolo virtuoso innescato da BTC, Tonga dovrà però riuscire a superare una strozzatura di non poco conto. Attualmente, infatti, appena la metà del territorio che compone l’arcipelago è coperto da Internet, almeno stando ai dati della Banca Mondiale.

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