Secondo quanto anticipato dal South China Morning Post, il governo cinese bandirà tutte le operazioni di mining e scambio di bitcoin, azione che probabilmente sarà letale per la criptovaluta, già indebolita dall’ultimo crollo che ha mandato in fumo oltre 35 miliardi di dollari.

Alla base di questa decisione ci sarebbero tre motivi che hanno portato Pechino a schierarsi in maniera così drastica nei confronti del bitcoin.

Questi motivi sono rappresentati dal rischio legato alla stabilità finanziaria e al ruolo sempre più importante che i bitcoin ricoprono nell’ambito del riciclaggio di denaro e nel traffico di droga.

Non ultima la questione sull’uso immorale di energia elettrica necessaria per il mantenimento dell’infrastruttura della cripto valuta, visto che la Cina costituisce uno snodo cruciale con oltre il 65% della potenza di calcolo utilizzata dalla rete.

In quest’ottica Tesla ha recentemente annunciato che non accetterà più pagamenti in Bitcoin a causa dell’impatto ambientale della moneta virtuale.

Il bitcoin è passato da 47mila a poco più di 30mila euro in appena due settimane

E’ naturale che le notizie giunte dalla Cina abbiano fatto precipitare il valore di mercato della cripto innescando il fuggi fuggi degli investitori. Il 12 maggio un Bitcoin valeva più di 47mila euro mentre oggi vale poco più di 30mila euro.

Nonostante la Cina si sia schierata con più forza contro la moneta virtuale, anche il Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti d’America ha reso obbligatoria la segnalazione, da parte delle aziende o dei soggetti coinvolti, di ogni transazione in bitcoin superiore ai 10mila dollari.

In una nota l’ente governativo americano ha dichiarato che l’utilizzo della criptovaluta porta con sé una serie di problemi e facilita l’attività illegale in generale, inclusa l’evasione fiscale.

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